IL CICLISMO TOTALE DI MVDP. IL SERIAL WINNER

7 aprile 2024, velodromo di Roubaix.
Mathieu van der Poel stravince il suo secondo Inferno del Nord, per dispersione degli avversari.
Dalla foresta di Arenberg, la superiorità dell’iridato è stata evidente.
L’olandese ha percorso la Trouée – apparentemente senza sforzo – in 3 minuti e 6 secondi malgrado quella chicane.
A Mathieu piace l’odore di quel bosco al mattino.
A pochi dì dal Giro 2024, approfittiamo di una stagione che si annuncia storica – che profuma di double tra Ronde e Roubaix, Giro e Tour e di Olimpiadi parigine – per (provare a) raccontare il ciclismo contemporaneo.
Abitato da freak che stanno implementando una nuova dimensione a uno sport (professionistico) di tradizione secolare.

“Tra tutti i corridori che ho incontrato nella mia carriera, van der Poel è il più impressionante che abbia mai visto.”
(John Degenkolb)

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Per l’MVDP fasciato con l’arcobaleno in Scozia, con una dimostrazione di forza e abilità impressionanti, l’inverno 2023 e la primavera 2024 sono state la prosecuzione di quell’assolo.
13 ciclocross vinti su 14, compreso il Mondiale a Tabor, dove ha mollato la compagnia dopo mezzo giro.
Le prime sette gare su asfalto.
Alla Milano-Sanremo fa il regista e lo stopper nella vittoria di Jasper Philipsen, decimo.
Vince l’E3 Harelbeke, un Fiandre bonsai, dopo 44 chilometri di fuga e 1’31” di vantaggio.
Secondo alla Gent-Wevelgem, battuto nello sprint a due da Mads Pedersen.
Vince la Ronde, due accelerazioni brutali, 40 chilometri di fuga e 1’05” di vantaggio, alla media record di 44,480 orari.
Vince la Parigi-Roubaix dopo 59,7 di fuga, 3′ di vantaggio, alla media record di 47,8 orari.

Ventiduesimo all’Amstel Gold Race, intruppato nel plotoncino che seguiva i fuggitivi.

Terzo alla Liegi-Bastogne-Liegi, a 2’02” dal dominatore Tadej Pogacar – il freak più freak di tutti – recuperando gli inseguitori nell’epilogo. 

Dal 2019, van der Poel ha gareggiato in 18 monumento (definizione che è un insulto storico, ma utile a rappresentare l’era attuale..), il piazzamento peggiore nella Sanremo agostana 2020 (tredicesimo).

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Tadej Pogacar, lui e Wout Van Aert, vedremo Remco Evenepoel, in alcune situazioni Primoz Roglic e Jonas Vingegaard (spendiamo una candidatura futuribile: Antonio Morgado), stanno elevando il ciclismo a un’idea psicofisica di performance pura.
A tavoletta, in ogni settore richiesto.
Te lo raccontano gli stessi corridori: in una gara World Tour, con i watt del gruppo di testa di un lustro fa, oggi quasi quasi si pedala nel gruppetto.
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Mathieu van der Poel è una felice casualità genetica.
Il nonno materno, fuoriclasse sfortunato, Raymond Poulidor, vent’anni di carriera ai massimi livelli.
Il babbo campione tostissimo, classicomane doc, Adrie, uno che ti fregava un Giro delle Fiandre in un battibaleno.
Chiedete, per referenze, a (King) Sean Kelly (1986).
Il talento fisico, il motorone, di Pou Pou.
La cattiveria agonistica, il senso della corsa, di Adrie.
Nato per vincere e stravolgere i canoni, annunciato sin dall’adolescenza.
Lo osservavi a Mons-en-Pévèle, nella campagna grigio topo di Lilla (Roubaix), che surfava il pavé passando da una canalina al centro strada, bello come il sole.
Gli altri, stravolti: dalla velocità, dai cubetti di porfido, dalla fanghiglia, dalla fatica.
Sette giorni prima, sul Koppenberg, il surfista se ne andava via seduto, sulle pietre lucide come vetro, e gli avversari fermi (a piedi).

Il Silver Surfer di Stan Lee e Jack Kirby, con la maglia iridata e su una scintillante Canyon bianca al posto della tavola.

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Quella combinazione inaudita, forse mai vista in precedenza.
Forza, tecnica, motore, centralina, telaio.
Una capacità lattacida da ardennesi (Michele Bartoli, Moreno Argentin, Alejandro Valverde) ma con un corpo (una corazza) di 10 chili superiori e leve lunghissime.
Abbinata a una guida tecnica del mezzo, funambolica.
La matrice post moderna arriva dal Brabante, è olandese ed è una donna.
Marianne Vos, il ciclismo totale – strada, ciclocross, pista: salita, discesa, passo, volata – lo ha (re) inventato lei.
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Il biondo, la bicicletta la (tele) comanda a mo’ di giocattolo.
Le mani sui manicotti dei freni, a ricordarci il dna crossista, le curve disegnate al limite, su una monetina da 5 centesimi.
Si sistema, tra la pancia del gruppo e la testa del plotone, passando in ogni pertugio come un gatto.

Pedala avanzato, come sempre più si usa, e di punta, per aumentare la frequenza e migliorare il gioco di caviglia.
I colpetti alla bici, senza frenare, sono simil Jan Janssen, un altro ras orange che insegnava il mestiere a tutti.
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Quando alle Strade Bianche, nel 2021, Mathieu staccò Julian Alaphilippe – salendo il budello di Santa Caterina – sviluppò 1372 watt nel tratto chiave.
20 secondi, 1004 watt di potenza media e picco cardiaco a 186 battiti.
All’Amstel Gold Race 2019, bimbo in una squadretta (la Corendon-Circus), affrettò i tempi dell’attacco ai meno 43: rimase un pedale su e l’altro giù, quando partirono i big.
Il finale, improbabile, la remontada complici quei polli di Alaphilippe e Jakob Fuglsang.
Li saltò con uno sprint lunghissimo, roba da derny.
1400 watt nella volata, 47 minuti in soglia, rivelò il suo Strava.
Un mostro.
Glasgow 2024, lo ribadiamo, segna un nuovo territorio (del ciclismo totale).
46 curve nel circuito conclusivo, una gara a eliminazione, una scratch di 270 chilometri.
Una kermesse massacrante, cucita su misura per MVDP.
La sua capacità di fare 1000-1200 watt (coi massimali a quasi 1500) per oltre 20 secondi, più volte, dopo 5 ore, è una frontiera della nuova specie.

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La presa leggera (e salda: non stacca mai le mani) sul manubrio nei settori d’acciottolato.

Un atleta universale, che abolisce (definitivamente?) il (vecchio) fachiro, lo scorfano.

MVDP ha le fasce muscolari definite, non è scheletrico (sfinito): la rivoluzione alimentare – in corsa – favorisce i “mostri”.

Che possono lavorare prossimi al lattacido, svuotando le gambe e il serbatoio altrui.

Chetoni, gel, borracce con sali, caffeina.

110-120 grammi l’ora, a 400 watt, fischiettando (la concorrenza, meno).

Il van der Poel della Roubaix ’24 è roba da 600 watt, per 5 minuti di fila: con quella guida del mezzo, gli stanno dietro solo le motociclette del seguito.

Il massimale, a palla, di un ciclocrossista di 75 chili col lattacido di un classicomane (fortissimo) 10 chili più leggero, è qualcosa di completamente diverso..

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“Due “bambini” minacciano di ribaltare il tavolo: Wout Van Aert e Mathieu Van der Poel. La vittoria a Koksjide, un mese fa, di Wout, a vent’anni il più giovane di sempre ad essersi imposto in una gara di Coppa, è stata la foto perfetta del divenire delle cose. Sul podio, quel pomeriggio, con un Kevin Pauwels secondo e inquieto, il terzo era l’altro enfant prodige, Van der Poel junior (diciannovenne..).Uno che possiede un dna regale, col babbo Adrie ras delle classiche (e dei prati) e un nonno materno leggendario (Raymond Poulidor!). E che avevamo conosciuto a Firenze 2013, quando salendo Via Salviati si era involato verso il titolo mondiale juniores.”

(Indiscreto / 23 dicembre 2014)

La rivalità crudele con Wout Van Aert, più versatile e potente del surfista iridato, lunga una carriera, è sospesa (finita?) da Glasgow ’23.

Il belga che fora nel momento decisivo della Roubaix, all’uscita del Carrefour d’Arbre, ruota a ruota con Mathieu, sembra avere il destino (eroico e patetico) del nonno di van der Poel.

Un gigante, che non ha mai vinto le gare che avrebbe dovuto vincere.

MVDP è invece un serial winner.

Una nemesi dei fiamminghi: un olandese nipotino di un francese, cannibale del ciclocross e dei muri (le meravigliose ossessioni delle Fiandre), è la versione più avanzata del flahute.

Una beffa storica per i belgi.

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La capacità di (auto) programmarsi.

Nel ciclismo totale, portato a livelli tecnici inusitati, è essenziale correre poco e benissimo.

MVDP – come Pogacar e Van Aert – deve pianificare la qualità.

Quei gesti, le stilettate ripetute, al limite, con la spia rossa accesa, per quanto tempo potranno essere reiterati?

Vincere così, consuma corpo e testa.

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La costruzione della squadra intorno, l’Alpecin-Deceuninck, è stata decisiva.

Van der Poel – campione dei suoi tempi che gira in Lamborghini – è una vicenda antica nelle dinamiche manageriali.

I fratelli Roodhooft – Philip e Christoph – hanno creato un’azienda famigliare, attraverso i successi e la fama di un fuoriclasse già icona.

Settanta persone circondano e lavorano al progetto.

MVDP ha firmato per altri cinque anni, fino al 2028: saranno diciotto anni con lo stesso gruppo.

Anche Canyon proseguirà la collaborazione.

La situazione consentirà al surfista di gestire la sua polivalenza.

Il biondo punta ai 7 titoli mondiali di Eric De Vlaeminck, il fratello mattoide – da bisca clandestina – di Roger, e continua a sognare il trionfo olimpico nella mountain bike.

L’ultima volta, a Tokyo nel 2021, finì con una caduta banale.

Parigi 2024, la prova su strada del 3 agosto, una specie di ventiduesima tappa del Tour, sembra il parco giochi del surfista, attraversamento di Montmartre compreso.

Per ancora qualche anno Mathieu van der Poel, profeta del ciclismo totale, riscriverà i confini del suo sport.

“Un giorno racconterò ai miei figli di aver corso insieme a lui.”

(Stefan Kueng)