MIKAELA SHIFFRIN, MOZART SUGLI SCI

Apertura della Coppa 2022, sul Rettenbach, lo scorso 23 ottobre.
Il duello tra Mikaela Shiffrin e Lara Gut è stato per palati fini.
Separate da 2 centesimi dopo la prima manche, la ticinese davanti, col resto del mondo a distanza.
Pista barrata, ghiacciatissima, il muro centrale (un abisso) e l’epilogo filante.
Scendeva la Regina americana, che pareva sul velluto: gli angoli, il bacino, le caviglie, le spalle parallele, la perfezione.
Una lezione di Gigante.
La campionessa elvetica ci metteva tutto: le traversate, la forza, i piedi (magici).
Lo stile batteva la potenza per 14 centesimi.
A 26 anni, farebbero 70 vittorie in Coppa del Mondo per Shiffrin: non è il dato statistico – comunque sbalorditivo – a sorprendere, ma l’aura che trasmette mentre scia.
Il più grande talento ammirato nell’era moderna, approccia ora la fase della maturità.
Le stazioni affrontate, una luttuosa, nerissima, ce la consegnano (giovane) donna.
Lei che è arrivata sulla cima, della montagna, da ragazza: la sua ci sembra già un’odissea, di successo.

Mikaela è la secondogenita di Eileen e Jeff: gli Shiffrin, appassionati di sci e agonisti al liceo, nel loro girovagare (per motivi di lavoro, essendo il babbo un medico anestesista) tra il Colorado e il New Hampshire, intuirono subito le potenzialità della figlia sulla neve.
Fu un allenatore, Rick Colt, quando Mikaela aveva appena otto anni, a svilupparne il talento precoce.
Il carattere a sé della sua storia è già in nuce: la più grande sciatrice tecnica dell’era moderna, crebbe a migliaia di chilometri di distanza dalla culla americana di questo sport (il Colorado).
Da bambina, preferirono l’allenamento alla competizione.
Come dichiarò Kirk Dwyer, il guru della Burke Mountain Academy: “Se vai a una gara, quel giorno scenderai due volte. Se te ne stai a casa e ti alleni, farai un pendio dodici o tredici volte.”
Gli Shiffrin e Dwyer coltivarono e pianificarono il futuro della pupa: rientrati nel Centennial State, approcciato l’agonismo a 13 anni, Mikaela cominciò a separarsi dal resto del mondo.
Nel 2010, la prima apparizione europea al Trofeo Topolino, una sorta di Mondiale adolescenti disputato sul Bondone: si aggiudicò due titoli e nello Speciale scavò l’abisso (tre secondi) con la concorrenza.
Un’anticipazione di ciò che sarebbe accaduto, da lì a qualche stagione, pure nel circo bianco.
Dove esordì, ancora quindicenne, nel 2011, a Spindleruv Mlyn (Repubblica Ceca) in Gigante.
Il 29 dicembre dello stesso anno, a Lienz, in uno slalom, la vernice sul podio: scese col pettorale 40, chiuse dodicesima la prima manche; nella seconda rimontò, col miglior parziale, fino al terzo posto.
A vederla, quella volta, fu evidente il manifestarsi di un unicum, di una fuoriclasse che avrebbe stravolto i (vecchi) parametri.
Pensarono la stessa cosa alla Barilla, azienda alimentare leader nel brand sportivo, che le propose una sponsorizzazione ad hoc.
La terza in assoluto, dell’universo sci, nella storia della multinazionale italiana: considerando che gli altri due campioni si chiamano Alberto Tomba e Bode Miller, un’investitura regale.
La stagione successiva, il 20 dicembre 2012, ad Are, in Svezia, il primissimo successo in Coppa e un altro segno del destino: la striscia cominciò nella terra di Ingemar Stenmark.
Nell’alveo tecnico, di primo acchito, a mò di predestinazione, solo Ingo e Lise-Marie Morerod con Mikaela.
A 17 anni, in quel di Schladming (2013), l’incipit iridato con l’oro nello Speciale: uno dei cinque – fra Mondiali e Olimpiadi – nello slalom e otto (!) totali.
Il trionfo a cinque cerchi (Sochi 2014) ne fece l’atleta più giovane di sempre a essersi imposta in uno slalom olimpico.
Una gara che, se analizzata bene, ci regala (va) una fotografia perfetta di questo fenomeno da teenager: algido, intoccabile, quasi inavvicinabile.

Shiffrin, capintesta, affrontò la seconda prova con un bel bottino di vantaggio: in un momento, preparando una porta verso sinistra, l’attimo fuggente.
Perse l’equilibrio, sbilanciandosi sulle code: pochi centesimi di secondo, con la prospettiva immediata di un presentatàrm che l’avrebbe fatta cadere, per reagire.
La bionda, con la reattività di un felino, si salvò su un piede – il destro – e ricostruì subito il ritmo dell’esercizio.
Un numero straordinario, degno di Stenmark e di Tomba.
Eppure, vedendola così fredda, distaccata, quella giornata ci rivelò ancor più.
Vinta la manche mattutina, fece pranzo in un caffè alla moda di Rosa Khutor, firmò qualche autografò e poi se ne andò in albergo a schiacciare un pisolino.
A 18 anni e 345 giorni, contro avversarie molto più esperte e una pressione addosso inimmaginabile, Mikaela Shiffrin dormiva a comando.
Sembra (va) vivere in una bolla tutta sua e la faceva apparire una cosa normale: così ci si stupisce se – al Sestriere – emise un gridolino dopo una vittoria o se a Zagabria uscì tra i rapid gates, per la prima volta dal 2012 (!), interrompendo un filotto di sette affermazioni in Coppa.

Poche parole di Dave Garett, coach di un’accademia del Vermont, la definiscono: “Prodigiosa, è Mozart sugli sci.”
Sul casco, dietro, Mikaela si è fatta stampare un acronimo: ABFTTB che sta per “Always Be Faster Than The Boys”.
“Sii sempre più veloce dei ragazzi” ..

Al picco della forma, in slalom, legge il pendio e si adatta; aggiusta le linee, anticipandole.
Sulle doppie e le triple strabilia per la capacità di incrementare il divario.
Scia leggera, come se capisse dove lasciarsi guidare dagli sci e quando invece imporgli il proprio volere tecnico.
Nel 2014 a Lenzerheide, alle finali, la manche d’apertura disegnata da Mauro Pini era difficilissima per gli standard femminili: arrancarono tutte, Tina Maze scioperò (..), tranne lei.
Ad Aspen, nel novembre 2015, sulla Lower Ruthie’s, i 3″07 sulla seconda (la solita Veronika Zuzulova) divennero il margine più alto di sempre in uno Speciale donne.
Due mesi e mezzo più tardi, reduce da un’operazione al ginocchio e uno stop agonistico, a Crans Montana, rivinse di giustezza: Shiffrin trasforma l’eccezionalità in routine.

Killington, dicembre 2019, uno Speciale fra tanti.
Superstar sulla Superstar, la Regina sembrava – rispetto alle altre – su un altro tracciato: più facile, senza dossi e vento.
Sul marmo blu, Petra Vlhova e Wendy Holdener (le prime terrestri..) beccarono rispettivamente 1″13 e 1″74 da Mikaela.

Nell’inforcata immediata dell’elvetica, nella seconda, c’erano la frustrazione e il fantasma della Shiffrin.
Un altro livello, separato dalla concorrenza: la Coppa della generale, la quarta consecutiva, già in bacheca o quasi.
Era il 2 febbraio 2020 e quell’equilibrio (felice) si spezzò.
L’incidente (tragico) del padre cancellò il panorama, rassicurante, della campionissima.

Per la prima volta, nella vita, Mikaela volle tenersi lontana dallo sport agonistico e dai suoi riti programmati.
L’elaborazione del lutto ci ha presentato un’altra Shiffrin, umanamente più matura, sportivamente senza quello scudo d’invincibilità.
Non è mai stata una robottina, malgrado certa (pessima) stampa la dipingesse così: funziona (?) così da noi, la narrazione.

Shiffrin rimane, malgrado tutto, il centro di gravità permanente – col ritiro di Marcel Hirscher – dello sci alpino contemporaneo.
Si vede contro – finalmente? – una slalomista (con gli sci sempre attaccati alla neve) con potenzialità tecniche simili alle sue.
Katharina Liensberger, oltre le altre (campionesse), rappresenta uno sprone per la seconda o terza (e ultima) parte del suo romanzo.
Shiffrin, per il mercato interno (sic), negli States le Olimpiadi hanno il peso specifico di una stella, punta a fare incetta di medaglie (possibilmente d’oro) a Pechino.
Ahi noi, l’ennesima rassegna disputata in un non luogo per l’universo bianco.
Che ha un bisogno mostruoso, di sicuro più della Regina a parti invertite, di un’apparizione (..) come Mikaela.
Le cifre, in fondo irrilevanti quando la quantità nasconde la qualità di alcune performance, ci introducono a questa Mozart con gli Atomic ai piedi.
Shiffrin illustra la grandezza (e la bellezza) dello sport femminile dell’empireo.
In una staffetta, del secolo nuovo, con pochissime elette.
Kim Yuna, Magdalena Neuner, Marianne Vos, Allyson Felix.

Oggi è fidanzata con Aleksander Aamodt Kilde, che di Mikaela dice (sorridendo): “Lei è la star, io per adesso sono solo la sua guardia del corpo.”

La mamma, Eileen, la segue ancora come fosse una sorella.
Erede mediatica di Lindsey Vonn, non potrebbe essere più lontana come approccio: tanto l’ex signorina Kildow è (era) appariscente, presenzialista, aggressiva; quanto Shiffrin è riservata, silenziosa, tranquilla.
Elegante, il viso di una bellezza preraffaelita, al di là delle dichiarazioni di rito preferisce ascoltare.
Sulle nevi, ha fatto dell’essenzialità del gesto uno spettacolo.
Sembrano passati secoli, eoni, da quando – neofita – condivise il podio con la grande Marlies Schild – allora primatista di vittorie in Coppa (37) nello Speciale – e le confessò che era la sua ispirazione.
In un decennio, tra vittorie, sogni e incubi, quella biondina ha messo insieme un’eredità impossibile da gestire (e pensare) per altre atlete.

Rilettura di un pezzo pubblicato dal Giornale del Popolo il 18 febbraio 2017