FIBA SUCKS. BIANCA, TAYLOR E LA WTA CHE VERRA’

FIBA SUCKS

Domenica scorsa, con un allenamento agonistico a mo’ di finale, si è conclusa la rassegna iridata cinese di baloncesto.

Giusto che a vincere questo Mundialito sia stata la Spagna, quasi al termine di un ciclo strepitoso, il migliore della sua storia.

Roja una delle due squadre di alto lignaggio scorte in Oriente, con l’Australia, in uno scenario complessivo post atomico: assenze pesantissime (non solo nello strombazzato Team USA) e formazioni messe assieme con lo sputo, arbitraggi federali (anche nella finalissima..), etc.

 Marc Gasol e Ricky Rubio, il dinamico duo che ha portato la Spagna al secondo Mondiale FIBA, dopo quello del 2006 in Giappone
Marc Gasol e Ricky Rubio, il dinamico duo che ha portato la Spagna al secondo Mondiale FIBA, dopo quello del 2006 in Giappone

In quello che è un campionato di livello così così, di Serie A2, le storie non mancherebbero; ma dall’anema e core biancoceleste, capeggiata da un glorioso pensionato di Pechino, il Luisito Scola, alla mediocrità di lusso italiana, vengono tutte condite da una retorica insopportabile.

Sarebbe bastato un tiro ignorante (segnato) in più di Patty Mills e nessuno rimarcherebbe un’ovvietà sacrosanta, ovvero che Marc Gasol appartiene – da tempo – all’élite assoluta del basket europeo del dopo Arvidas Sabonis (e Drazen Petrovic).

Andando di quintetto, ruolo per ruolo: Tony Parker, Dejan Bodiroga, Dirk Nowitzki, Pau e Marc Gasol.

In una realtà che è sempre più sfuggente e globalizzata, gli stessi che definiscono “circo” l’NBA sbavano per un torneo a trentadue (!) nazionali, un minestrone riscaldato male, piazzato temporalmente soprattutto contro l’Eurolega, l’odiata ULEB, e ignorato altrove (da Silverville in giù..).

Della sfilata in Cina, sfugge il senso della missione.

La promozione del giochino, da quasi quarant’anni, è nelle doti ordo-liberiste dell’NBA.

A Pechino, in mondovisione, gli spettatori generalisti hanno magari scoperto (..) il tiro da tre a distanza WNBA, l’antisportivo che incoraggia le simulazioni, il possesso alternato col semaforo..

Trattasi ancora dell’unico sport popolarissimo, dell’intero globo, a vantare almeno tre (!) regolamenti differenti a seconda della parrocchia di riferimento.

E se alla FIBA, che dai tempi di Boris Stankovic fa solo politica, non interessa l’argomento, ci chiediamo a chi debba fregare.

La domanda delle cento pistole è scomoda, poiché preclude il visto per le manifestazioni e le cibarie: qual è – oggidì – la funzione della FIBA?

Qualche anno fa, ponemmo il quesito a uno dei più grandi allenatori continentali e la risposta fu eloquente.

“Serve solo a spostare denaro.”

BIANCA, TAYLOR E LA WTA CHE VERRA’

Mentre quei tre là, fra i maschietti, sembrano sfidare la clessidra e la logica, il tennis rosa affronta un ricambio generazionale meno problematico.

Il declino un po’ patetico di Serena Williams, una campionissima, ci ricorda – aspettando il rientro (improbabile, pugilistico..) di Kim Clijsters – che le sorellone di Compton sono le ultime esponenti della seconda età dell’oro della WTA.

L’evo (dalla metà degli anni Novanta al primo lustro degli Zero) che collegò il tramonto delle Steffi Graf, Monica Seles, Arantxa Sanchez, Conchita Martinez all’alba, appunto, di Serena (e Venus), Martina Hingis, Amelie Mauresmo, delle (due) belghe, delle (prime) russe con in mezzo Jennifer Capriati, Mary Pierce, etc.

Da lì in poi, reiterando un sistema di stelline “usa e getta”, il circuito femminile ha imboccato un declino rassicurante, per gli strateghi del marketing, un po’ meno per gli appassionati.

Parallela al dominio della tarda Serena, una giostra di robottine, meteore e storiacce.

Giocatrici monodiche, ammirevoli per l’intensité (..) e le performance atletiche.

Macchinine di tennis percentuale, a volte bellocce, con la posse (adorante) al seguito.

Ne abbiamo passate in rassegna un plotoncino (da Eugenie Bouchard allo strano caso di Garbine Muguruza), ma il modello – irraggiungibile – rimane Masha: una bestiolina bionda, più resiliente del permafrost siberiano, icona planetaria e azienda con racchetta al seguito.

Maria Sharapova, malgrado un tennis rozzo, minimalista nelle trame, massimalista nei guadagni, è il poster nella cameretta delle ostapicchia tutte urla, clavate e pugnetto.

Per un decennio e oltre, il panorama – decadente – è stato ostaggio delle replicanti.

E quando si vedevano incontri del lignaggio, tecnico, di un Radwanska-Vinci a Doha 2016, quarti di finale (3/6 6/2 6/3 per Aga la Maga), ci si stropicciava gli occhi dalla sorpresa.

Giovedì 25 febbraio 2016, al Qatar Total Open di Doha, il quarto di finale capolavoro tra Agnieszka Radwanska e Roberta Vinci.
Giovedì 25 febbraio 2016, al Qatar Total Open di Doha, il quarto di finale capolavoro tra Agnieszka Radwanska e Roberta Vinci.

Discese a rete (centouno quel dì..), stop and volley, passanti sulla monetina, velenose, lob, demivolée: manco venissero dalla Boemia e si chiamassero Martina e Hana.

Eppure si muove la WTA e, nelle produzioni di serie delle tennis academy, si è ricominciato – piano piano – a valorizzare maggiormente la balistica e il timing dei colpi.

L’ultimo serenicidio in quel di New York, a opera della diciannovenne Bianca Andreescu (6/3 7/5), è stato possibile grazie a schemi hingisiani, basati sull’anticipo e gli angoli stretti.

Qualcosa di meno monotono, e più creativo, rispetto alle catenate da fondo di qualche vincitrice Slam del passato recente.

Il numero uno in classifica all’aussie Ashleigh Barty, capace di un tennis offensivo, ferro e piuma (quel back..), è un altro segnale – incoraggiante – di biodiversità.

Alla chetichella, stanno salendo nel ranking Petra Martic, Karolina Muchova, e il ritorno di Belinda Bencic, dal limbo adolescenziale delle troppe aspettative, conferma un’inerzia.

Che si trasforma in una sorpresa, pensando ai corpaccioni di Ons Jabeur e Taylor Townsend, costrette da Madre Natura a inventarsi qualcosa di completamente diverso, per sopravvivere nella giungla.

Manifesto programmatico straniante, il secondo turno degli US Open della Townsend opposta a Simona Halep.

 L'Arthur Ashe Stadium applaude la più grande sorpresa della prima settimana a Flushing Meadows: Halep si congratula con Townsend.

L’Arthur Ashe Stadium applaude la più grande sorpresa della prima settimana a Flushing Meadows: Halep si congratula con Townsend.

Aggredita a rete, dal secondo set (2/6 6/3 7/6), senza soluzione di continuità dal talento poetico – oversize.. – dell’afroamericana.

Simona, un martello, fresca di vittoria a Church Road, è uscita di senno davanti allo spettacolo, inconsueto, estremo per il canone moderno, di serve and volley dell’altra.

Taylor, croce e delizia dell’USTA dai giorni del trionfo junior a Melbourne 2012, finalmente forse in pace con sé, il mondo e la bilancia, l’avanguardia luddista (e qui da demolire c’è il macchinario del robotennis..) che promette di divertirci nel futuro prossimo.

Perché, al contrario dell’empireo ATP abitato da super atleti, i margini per giocare (meglio) a tennis – non a sparapalle – ci sarebbero.

Più che toccare ferro, che ci indica le monofilamento, knock on wood..