STORIA ED EPICA DELLA STREIF, PARADISO E INFERNO DEGLI UOMINI JET

Fine settimana dello sci alpino con lo zenit del circuito: Kitzbuhel è il momento che, al di là del bene e del male, scrive la storia di questo sport.

Streif, la regina delle discese, e Ganslern: per l’Austria una sorta di festa nazionale, di Super Bowl dell’universo bianco.

Incastonato tra il Lauberhorn e la Planai, l’appuntamento in Tirolo rappresenta la disciplina in maniera quasi totalizzante.

Kitz enfatizza, ingigantisce, ogni cosa.

La libera, una regola categorica, si fa anche in condizioni che altrove imporrebbero la cancellazione.

Il grande Aksel Lund Svindal, che nel 2016 cadde e ci lasciò crociato, menisco, del ginocchio destro e la terza Coppa generale, ha paragonato la sfida alla Monte Carlo della Formula Uno.

Ovvero una competizione – tradizionale – a sé.

Per le norme moderne di sicurezza, l’incipit e il finale della Streif non rientrerebbero nel canone autorizzato.

Ma quel pendio, che è leggenda, va oltre le richieste degli atleti e dei tecnici.


Karl Schranz, il 18 gennaio ’69, bissa in Coppa il successo del 1966: quando si correva solo (?) la (leggendaria) combinata. 

I quali dovrebbero invece chiedersi il motivo della supremazia culturale – in questo caso, schiacciante – di Kitzbuhel (e – in misura minore – di Adelboden, Wengen, Schladming e poche altre tappe) sul resto dell’offerta.

Il bordone di Kitzbuhel, che cominciò nel ’31 come gara internazionale, dal 1937 ha a che fare con la mistica selvaggia della Streif.

3312 metri di lunghezza, 860 di dislivello, che sfidano una montagna (l’Hahnenkamm) e la logica dello sci.

Un’idea di discesa che flirta con la follia superomistica e lo spettacolo a tutti i costi.

Inizio e conclusione della pista, appunto, sono al limite.

La partenza, un tuffo nel vuoto (e al cuore), e subito l’ottantacinque per cento di pendenza della Mausefalle, che scaraventa l’uomo jet verso il Carosello, una esse complicata, e poi alla Steilhang, curvone a destra da disegnare.

Sulla Trappola del Topo comincia lo stillicidio.

Nel 2011, Hans Grugger non gestì la forza centrifuga e si schiantò: il risultato furono undici giorni di coma farmacologico.

La Steilhang, nel ’94, vide il numero da circo di Marc Girardelli che cadde su un fianco ma, come un gatto, si rialzò e concluse secondo.

E’ la chiave della sezione sopra, che introduce al bosco del Brueckenschuss, la stradina di scorrimento.

Sotto, Alte Schneise (la traversa che interrompe lo “slittone”) e Seidlalmsprung portano al non plus ultra dell’Hausbergkante, il tratto più difficile e caratteristico dell’intera Coppa, una diagonale mozzafiato che immette sul rettilineo del traguardo.

Se sei matricola là, dove gli alpini austriaci lavorano la pista a piedi poiché (per la troppa pendenza..) non ci riescono i mezzi, entri che sei ragazzo ed esci uomo.

Ironico che uno slalomista, il campionissimo Gustav Thoeni, nel ’75 percorse la traiettoria (quasi) perfetta che gli permise di insidiare Franz Klammer.

Perse per un centesimo di allora, che oggi varrebbe un ex aequo.

1984. Franz Klammer cala il poker.

Al di sopra dei 140 chilometri all’ora, con le gambe in croce dallo fatica, lo Zielschuss, l’ultimo salto, addolcito dopo gli incidenti.

Nell’85 Pirmin Zurbriggen vinse, pur rompendosi un menisco sul balzo.

Dieci anni dopo, Chad Fleischer atterrò di schiena: si salvò, miracolosamente, mentre gli sci esplosero in mille pezzi.. 

Nel 2009, Daniel Albrecht ci lasciò una carriera da ras e quasi la vita: sono tanti ad aver pagato un tributo (sangue e ossa) alla regina della discesa.

Quando (2004) Kristian Ghedina improvvisò una spaccata, geniale, fregandosene del cronometro, lo fece anche per esorcizzare il mostro: nel ’90, imberbe, in una delle manche imposte dalla poca neve, centrò una fune d’acciaio che sporgeva.

Si fratturò due costole, perse conoscenza e fu fortunatissimo: due spanne e sarebbe stato ghigliottinato.

Brian Stemmle divenne ricco (..) grazie a una caduta, provocata da una rete di protezione messa alla carlona.

Denunciò gli organizzatori e vinse la causa ma non finì lì: concluse la carriera, con un altro botto, proprio a Kitz.

L’Hausbergkante fa già spavento solo a guardarla, da lontano.

La Streif vuole sempre l’ultima parola, pure con i suoi eroi: Todd Brooker, uno dei Crazy Canucks che vinse nel 1983, quattro anni più tardi si spappolò – come un bambolotto di carne – precipitando dall’Hausbergkante.

Nel ’91, pronti e via, caddero due apripista su tre e il terzo a malapena tagliò il traguardo.

Quando il pettorale numero uno uscì, si percepì subito l’olezzo del sangue.

Quel giorno, vivaddio, anche i direttori di gara si spaventarono: interruppero la mattanza, per rallentare i tratti più scabrosi.

Quella baraonda, gli uomini cannone che rischiano la pellaccia, il muro di folla che circonda il tracciato, celebra un rito pagano.

Dunque, qualcosa di crudele.

Tutto si risolve con un secchiello e uno spillatore.

Il primo serve ai neofiti, la primissima volta che si affacciano al cancello (e vedono il dirupo, sotto), per vomitare.

Il secondo è la birra che viene servita dal vincitore, il sabato sera, per dare il via alla festa (che dura fino al mattino..) al Londoner. 

23 gennaio 1998.

2011. Hans Grugger sbuca dalla Mausefalle, a 120 orari, e perde l’equilibrio in volo: una caduta orribile.

La volontà ferrea di far disputare comunque la Streif, pure su un tracciato alternativo, produsse una libera sprint disputata in due manche.

Il ventitreenne Didier Cuche, talento emergente, beffò lo squadrone austriaco.

Una giornata rocambolesca, con Roland Assinger che rischiò di ammazzarsi: ci vollero più di venti minuti per toglierlo dalle reti e trasportarlo via, in elicottero.

Cuche difese a denti stretti il vantaggio, conseguito nella prima mini discesa.

Chiuse con 14 centesimi su Nicolas Burtin e 32 su un altro francese, Jean Luc Cretier.

Il vallese sfoggiava una capigliatura verde (!): si era tinto i capelli, per scommessa, la settimana prima.

Il dì seguente, su una Streif quasi intera (col finale arrangiato), confermò il (gran) risultato: piazza d’onore (a 0″14) da uno dei migliori discesisti di quell’epoca, Kristian Ghedina, il primo italiano di sempre a sfatare il tabù.

Cominciò così, per caso ma nemmeno tanto, l’epopea di Didier Cuche a Kitzbuhel.

Che si chiuse il 21 gennaio 2012, in un mezzodì impossibile, sotto una nevicata fitta: Cuche ne aveva poca, di benza, ma pitturò la sequenza decisiva incurante dei rischi.

2012. Didier Cuche si impone – nella bufera – per la quinta volta.

Fu il quinto scalpo della carriera, primato assoluto.

Il poker è condiviso da due leggende del Wunderteam, Karl Schranz e Franz Klammer.

Rimane l’istante più emozionante, nel 1984, il quarto successo del Kaiser che staccò di 57 centesimi il connazionale Erwin Resch.

Appena passato l’arrivo, Klammer – trent’anni, alla venticinquesima (e ultima) vittoria in una discesa di Coppa – trasfigurò e divenne dioscuro.

Nella cittadina che diede i natali a Mister Sci Alpino, Toni Sailer, non esiste gloria più vera.

Il livello della libera contemporanea è tale che avremmo indicato – sabato – Matthias Mayer, Thomas Dressen e Vincent Kriechmayr – cioè tre campioni.. – a mò di outsider rispetto ai duellanti.

Beat Feuz e Dominik Paris stanno (stavano) caratterizzando il discesismo come pochi, fuoriclasse, prima di loro.

All’elvetico, virtuoso dell’interpretazione (estrema) dei passaggi chiave, un funambolo, manca il trofeo di Kitz: due anni fa venne beffato da Dressen e da uno squarcio di sole che favorì la prova del tedesco.

L’altoatesino, considerabile già il più forte velocista italiano dell’evo moderno, un carro armato coi piedi intelligenti, con la Streif ha – da tempo – un rapporto d’amore: tre discese e un SuperG lo testimoniano.

Domme, martedì si è sbranato il ginocchio destro a Kirchberg, mentre si allenava pensando a Kitz: la sfida diretta tra i due fenomeni, ahinoi, non ci sarà.

Settantamila persone, assiepate lungo la striscia, aspettano l’evento più importante e adrenalinico del circo bianco.

L’Hahnenkamm, eguagliata forse solo dalla Parigi-Roubaix nel ciclismo, costringe i suoi attori a obbedire a una cerimonia barbara, primigenia.

Nello sci alpino, il paradiso e l’inferno si materializzano nello stesso pertugio: in una mattina di fine gennaio, sulla Streif.