AUSSIE DI SEPPIA. SINNERMANIA PARTE 3

Si riparte, o meglio ripartono quelli del tennis.  

Che è come non si interrompessero mai, calcistizzati pure nell’occupazione del calendario, giramondo e presenzialisti undici mesi e mezzo all’anno. 

Dell’Aussie Open 2025 non faremo verbo: il sorteggio, gli incroci, Jannik Sinner che per la prima volta difende un titolo Slam, Carlito (non mettete la esse, per favore..) Alcaraz nello spicchio con Novak Djokovic (nel ruolo di Darth Vader), Sasha Zverev che vorrebbe finirla col Godot beckettiano, ecc. 

Lo usiamo come pretesto per fermare, una volta si diceva “su carta”, alcuni pensieri scaturiti dalle vicende della stagione passata. Perché sono accadute tante cose e tutte paiono generate da dinamiche in atto, da lustri, nel mondo ATP.

“You’re going to reap just what you sow.”

1

L’Italia, come predetto da molti, ha trovato il suo nuovo eroe sportivo. Se Alberto Tomba – da Bologna, mica Trafoi o Salice d’Ulzio – rappresentò una novità mediatica, un’ossessione nazionalpopolare, per un paese con una scarsa cultura sportiva Sinner è una primula rossa. Un altoatesino cresciuto con gli sci ai piedi, personaggio in quanto antidivo, testa ben piazzata sulle spalle, è uno scacco matto agli stereotipi italiani, recepito istantaneamente al pari di un’icona pop. L’analisi sociologica del fenomeno Sinner finisce qui, poichè ci interessano di più le racchette, le corde, le palle, il gioco.

2

L’onda lunga della Coppa Davis ’23, Jannik la trasporta down under. In Australia, il Carota diventa grande. Un bel sorteggio lo consegna, nelle condizioni ideali, alla semifinale col vecchio despota Djokovic.  

Sinner ci arrivava a mille, 15 set consecutivi vinti, senza smarrirne uno, Nole così così e grazie al seeding (ah, le teste di serie a 32..). Giornata più fredda, si fa per dire, rispetto alla prima settimana (bollente), quindi pallina che scorre meno. Il serbo sbagliava quasi il triplo di più, col baricentro dietro – almeno un metro e mezzo – rispetto al proprio standard. Nell’ora e 14 minuti dei primi due set, 29 unforced errors di Nole che di dritto, da almeno due anni, ha problemi poco esplorati dai pallettari della nextgen. Nel quarto parziale, sull’1/2 40/0, alla battuta Djokovic, il match si spegneva.  

Nole pareva rassegnato, dalla pesantezza di palla di Sinner e – malgrado i 7 minuti di toilet break (un classico) – nemmeno convinto di poterla ribaltare. In una partita Slam terminata, mai Djokovic non era arrivato a una palla break. Il dritto stretto, a uscire, caricatissimo, che sbatteva fuori Nole (e Andrej Rublev nei quarti..), era il colpo plus. La seconda, stramigliorata, l’altro particolare decisivo. 

La personalità, il saper rimanere sulla contesa a ogni punto, è nel dna del roscio fin dalla culla. Un po’ come quei colpi che suonano, secchi, violentissimi, in anticipo, da Tomas Berdych con gli spostamenti laterali o addirittura – nei momenti d’ispirazione – da Marat Safin che si scorda le feste, l’alcol e le safinette. Sul cemento, già a gennaio ’24 Sinner era il numero uno.

3

Piccola storia istruttiva dello stato delle cose. A Melbourne c’erano tre pass per tre quotidiani italiani di punta, uno di questi era la Gazzetta Dello Sport, e nessuno è passato in sala stampa a ritirarli.

4

La consacrazione del Carota arrivava al termine di una lunga e insidiosa serata australe. Nella gaussiana estrema dei confronti fra lui e Daniil Medvedev, l’essenza del robotennis contemporaneo. Il Sinner apprendista faceva seppuku a forza di mazzate, forzature, incapace di variazioni minime, opposto al muro del regolarista. La scoperta (..) delle diagonali, dei cambi di traiettoria, con la minaccia di quei “comodini” scagliati, rivelava i buchi strategici dello scacchista russo. Quella risposta che parte (troppo) lontana e una manualità, attirato verso rete, mediocre. Ma la finalissima seguiva altri impulsi tattici, con Medvedev propositivo e (più) aggressivo, Sinner (con il celeberrimo gorilla del Crodino sulle spalle..) perdeva timing e inerzia (comando).  

Per due set e mezzo, l’orso spilungone l’avrebbe meritata: poi arrivava, sul più bello (per lui), il conto da pagare delle due settimane. 20 ore e 33 minuti, in sei incontri, sul Greenset, rimontando due partite sotto 2 set a zero, contro le 14 ore e 44 minuti dell’avversario. Con Zverev, aveva più perso il tedesco che vinto Medvedev. Daniil (cotto) tornava 4 metri dietro la linea, mentre Jannik riprendeva fiducia e fluidità negli scambi. 3/6 3/6 6/4 6/4 6/3, il tabellino della rimonta vincente. Il 28 gennaio 2024, Jannik Sinner succedeva ad Adriano Panatta come trionfatore azzurro in un major. Da quel 14 giugno 1976 parigino, fanno 17394 giorni. Sono quasi 48 anni, un lasso di tempo che descrivere non sapremmo.

5

Nelle classifiche ATP del 2024, soprattutto nella cosiddetta race, Jannik Sinner è stato un uomo solo al comando.  

Il 10 giugno, quando per la matematica diventa capintesta del circuito, si realizza solo una formalità statistica. La stagione si potrebbe riassumere con un palindromo: S-A-A-S.

Inizia e finisce Sinner (quantità, continuità), in mezzo la doppietta di Alcaraz (qualità, picchi), il resto è mancia. Anzi, è ancora Sinner che chiude il cerchio tra Torino (ATP Finals) e Malaga (Davis). 

Il 73-6 è eloquente, quasi quanto l’essersi aggiudicato almeno un parziale in tutti i 79 match disputati. Unico a farlo prima, il Roger Federer 2005. 

Il duopolio generazionale con Carlos promette un altro Fedal? Quest’anno, la prima risposta al quesito. Per il ruolo del terzo uomo, una prospettiva niente male, la candidatura del brasiliano Joao Fonseca (18 anni) ci appare la più suggestiva e logica.

6

La gestione del giocattolo, dentro e fuori l’arena, è professionale al cento per cento. O almeno tende a esserlo. Per essere un classe 2001, quindi nell’anno dei 24, di Sinner stupiscono l’equilibrio e la saggezza. Le parole e i gesti, giusti.

La Nike si è assicurata Jannik, per dieci anni, con un contratto da 140 milioni di euro. Il campione nato a Sesto Pusteria è testimonial anche di Gucci, Intesa San Paolo, Rolex, Alfa Romeo, De Cecco, Lavazza, Parmigiano Reggiano, Fastweb, La Roche-Posay, Technogym, Panini, Pigna. Alex Vittur, il suo manager, amministra le tre società Foxera (la volpe, uno dei soprannomi di Jannik) più una, registrate tutte a Monte Carlo. Una holding, una finanziaria, due immobiliari: dal luglio 2023, il gruppo possiede a Milano degli uffici, dal valore stimato attorno ai 3,6 milioni. L’unico asterisco, prima di arrivare a Indian Wells ’24, è stato rappresentato dal suo rapporto con Riccardo Piatti, l’antico mentore. Devono essersi lasciati male.

A proposito, all’Accademia Piatti di Bordighera, 6 ore al dì (tre più tre), 36 in 6 giorni, 720 ore in 20 settimane: se volete iscrivere il vostro figliòlo, scucite 23000 euro. Tanto per capire cosa sia diventato il tennis, ora robotennis. Un investimento economico su un ragazzino (o una bambina). Fa specie notarlo raccontando i Sinner, un nucleo famigliare di persone educate, ovvero genitori fuori dal prototipo mitomane che circola – da decenni – nei club e li infesta.

7

Quer pasticciaccio brutto del clostebol arriva, tipo una grandinata in un pomeriggio estivo assolato, sul più bello. C’erano stati segnali di fumo, qua e là, da interpretare. Il problema è che il tennis, da anni, insieme ad altri giochi pop (Commodo calcio in primis), vive di sponde (non solo mediatiche) privilegiate.  L’hanno fatto diventare – citando Gianni Clerici – “atletica leggera con racchetta” e nasconde, sotto il tappeto, le conseguenze meno gradevoli di queste performance (atletiche). Dovremmo snocciolare, un dato alla volta, le retroazioni di sport professionistici che muovono interessi milionari. Ma i due casi tennistici del 2024 sono nella direzione chiacchierata, almeno dalla fine degli anni ’90, del “silent ban”.  Pratica abusata, fra ATP e WTA, che sembra l’unica politica (d’immagine) che interessi a enti che di tennis, dal punto di vista tecnico (superfici, racchette, corde, palle, regolamenti), non se ne occupano. Perché omologando il gioco e promuovendo lo star system si ritoccano (falsano) i primati; si creano le rivalità, seriali, cioé la soma del pubblico generalista (tifoso, cliente, follower). E si fanno le palanche.

8

Le 33 pagine del documento ITIA sono più interessanti, sapendo leggere tra le righe, della discussione sulla presunta assunzione volontaria del farmaco. Sinner non ha bisogno del deltacortene per giocare (meglio) e vincere: punto e a capo. E’ invece evidente che il tennis di alto livello viva – da eoni – in una bolla creata dal suo sistema. Il tribunale privato che scagiona dal dolo Sinner, Sport Resolutions, ha un accordo di collaborazione – dal 2021 – con l’ATP. Giro WADA i tre esperti scientifici interpellati. Nella difesa c’era Jamie Singer, avvocato dell’Onside Low, studio legale che lavora anche per l’ITIA, che farebbe i controlli antidoping per l’ATP, e nel panel di Sports Resolutions. Una selva di conflitti d’interesse. As usual, roba da calcio.

9

Per la cronaca, il preparatore Umberto Ferrara comperava il Trofodermin – con scritta “doping” sulla scatola – a Bologna, se lo metteva in borsa e viaggiava per il mondo. Lo passava a Giacomo Naldi, per un dito feritosi durante un’applicazione. Naldi non si era lavato le mani. A Pasqua, in quel di Losanna, il TAS ci farà sapere.

Prendersela con la WADA, che prova a fare il suo compito (impossibile), ci sembra miope. Nel ’22 a un allenatore di un giocatore scappò un whatsapp, eravamo a Miami, nel quale l’ITF consentiva la prenotazione (sigh) dei test antidoping. L’ITF è acclarato che abbia gonfiato il numero dei controlli, per vendersi meglio. Ve lo ricordate Hyeon Chung, semifinalista a sorpresa degli Australian Open 2018? 25 test segnalati, durante i tornei, a dispetto del fatto che il sudcoreano fosse a casa, infortunato, da mesi. La gestione ITIA è un disastro annunciato, non avendo competenze specifiche sull’argomento: è lì, dal 2022, per indagare sulle scommesse. Il Segreto di Pulcinella, nell’evo del robotennis, risiede nelle maniche larghe, larghissime, dei TUEs, le esenzioni terapeutiche consentite agli atleti.

10

Ancora più rivelatorio il caso di Iga Swiatek. Che prese il LEM-AK Melatonina, ad agosto, per combattere gli effetti del jet leg del viaggio tra Parigi e Cincinnati. Un mese di sospensione, un buffetto nel silenzio, con la polacca che saltò la trasferta asiatica per “problemi personali”. Il medicinale era contaminato, in tracce (minime), dalla trimetazidina (anti-ischemica e dopante). Swiatek, sbadata, si era dimenticata di segnalare il prodotto: ci sta. Esemplare (?) che nella scheda redatta, scriva di altri 14 (!) farmaci presi in quella settimana. Definiamole le conseguenze del robotennis.

11

L’incordatura della Head Speed di Jannik è con una tensione di 28 chili, sia nelle corde orizzontali che verticali. Luxilon, che aiutano nel controllo di palla. Peso poco sopra i 300 grammi, manico di misura 2, una racchetta leggera. Lo schema d’incordatura è 17 x 19. Più è fitto, minore è la potenza, maggiore il controllo: Alcaraz (25 e 23 kg) 16 x 20, Djokovic (28,5 e 27,5 kg) 18 x 19. 

Curiosità. Federer ’05 usava un’incordatura ibrida, montata al contrario (budello sulle verticali), 360 grammi, 16 x 19, tensione dai 21 e mezzo ai 23 kg. La sua Pro Staff era 90 pollici, l’Head Speed di Sinner è 100. Do the math, guaglioni.

12

“You’re not human, man. You’re 15 years old and you play like this, good job.”

La frase di quel mattoide di Aleksandr Bublik, rivolta a fine match a (un giovane) Sinner, racconta come i colleghi vivono Jannik in presa diretta. L’altoatesino impiega per il dritto una (ormai classica) semiwestern. Nel rovescio bimane alterna una continental con la destra e una eastern con la sinistra (molto usata nel colpo). E’ la sua arma totale, il backhand: la mano sfavorita, mancina, l’adopera molto in tutte e tre le declinazioni standard. Lo swing pieno, il suo gesto più naturale, istintivo, in avanzamento, metronomico. Il return swing, alla risposta, accorciato e – se possibile – in anticipo. La semi swing spostandosi lateralmente, in estensione, con l’appoggio sulla già citata mano sinistra. Il servizio è una continental poco chiusa, non proprio “a martello” come nell’impugnatura classica. Il Carota è una macchina da power tennis post moderno, l’ideale per l’hard court.

13

Lo osserviamo, nei cambi campo, e pare immerso in un caos calmo. La conversazione minimale con gli allenatori, i silenzi, gli sguardi. Metodico, in ogni aspetto, anche che non abbia a che fare col gioco in sé. E’ sempre lui a chinarsi e raccogliere la monetina, al sorteggio, per consegnarla all’arbitro. Quando (ri) entra in campo, passa sulla riga col piede destro. Per la prima battuta, palleggia sette volte, cinque per la seconda.

14

Quarti a Flushing Meadows Sinner contro Medvedev, finale anticipata degli US Open ’24, come spesso accadeva (negli Slam) prima dell’introduzione delle teste di serie a 32. 2 ore e 40 minuti di robotennis, pallate, rincorse e testa, senza che i due brillino insieme. I 57 errori gratuiti del russo, opposti ai 38 dell’italiano, sottolineano il bordone del match e la nausea sartriana di questo (nuovo) gioco. 

A New York il Falco calcolava la media oraria dei dritti in topspin. Aryna Sabalenka viaggiava a 80 miglia, Alcaraz a 79, Sinner a 78, Djokovic a 76. Maledette monofilamento.

15

La finalissima degli US Open riassumeva l’estetica e la carne di questo momento del tennis. Il roscio “on fire”, direbbero gli americani, opposto a un eccellente Taylor Fritz. Partita veloce, brutale, minimale nelle soluzioni, sempre al limite per la violenza delle catenate dei due. La penuria di break era inversamente proporzionale ai colpi da dietro, fluidi, chirurgici, sulle righe. L’habitat del numero 1 del mondo, Jannik Sinner. Secondo Slam in bacheca. Come dicono là: and counting.

16

La Sinnermania ci regala stelline che scrivono di cose che non conoscono, per loro la western è un film di pettorute con la pistola, e giornalisti improvvisati e morti di fama. Tutti pretendono un pezzettino di Jannik e un po’ di visibilità. “Gli italiani corrono sempre in aiuto del vincitore” scrisse Ennio Flaiano.

Poi ci sono quelli del mestiere, i professionisti, che conoscono i loro polli e preparano lo spiedo. A Wimbledon, che è Wimbledon, il prezzo più basso per assistere a una finale è 288 euro. A Torino, per quello che era il caro vecchio Masters, siamo a 332 (il rincaro è sicuro..). 899, il massimo. Come riportato da Tennis Magazine, Roma è il 1000 più costoso del mondo. Si parte da 298 euro nelle piccionaie, con oscillazioni future, e si arriva a 679. Indian Wells? 210. Madrid? 176. Monte Carlo? 95. Undici categorie diverse di biglietti (a Wimby sono tre). La suite va via a 914 e a tutti gli eventi FITP, ATP Finals incluse, aggiungiamo il 10 percento di prevendita. Le sessioni diurne del Foro Italico, tra martedì e giovedì, sono a 114 euro. Più esose di quelle a Church Road. Stanno lavorando per loro: tengono famiglia.