L’ELEFANTE NEL CIELO DI COLUMBINE E L’UNIVERSO O IL MOSTRO IN UNA TASCA

Raccogliamo le vesti di chi se le straccia, per la libertà (digitale) tolta a Nerone.
Se si nega l’evidenza di un atto (di insurrezione teleguidata dall’alto, zeppa di simbologie e di esoterismo kitsch) di quel genere, si annega nei pregiudizi cognitivi che sostituiscono i fatti (la realtà) con le opinioni.
Scacco matto.

La profanazione di Capitol Hill è stata solo la realizzazione scenica più delirante (e coerente) di un culto fondamentalista – il trumpismo – che odora di morte, pop art e collasso della psicosfera collettiva.
“Death and disaster” mescolato con l’America (s) profonda e l’ennesima serie Netflix basata sulla paranoia e la violenza.
Un universo parallelo che si vuole sostituire all’esistente, dominato dal pensiero magico e dal tribalismo.
Figurine di “American Psycho” – Ivanka Trump, Ted Cruz, Josh Hawley, Lauren Boebert, etc. – che non paiono reali da quanto sono assurde.

Gli assaltatori, la spazzatura bianca, del 6 gennaio 2021 appartengono alla stessa generazione di Eric Harris e Dylan Klebold, i due assassini del liceo di Columbine.
Che, il 20 aprile 1999, massacrarono i compagni di scuola con un raid terroristico.


E’ quella mattina nel Colorado che si apre uno scarto, incolmabile, antimaterico, tra l’impero irresistibile e la percezione della realtà.
Il cratere del ventunesimo secolo, nel quale sprofonda l’occidente, è nella biblioteca di quell’edificio scolastico.
C’era già tutto, persino la data (di nascita di Adolf Hitler) della strage, rimandata di un giorno su quella scelta all’inizio.
Il 19 aprile 1993, a Waco, si concluse l’assedio federale alla setta dei davidiani: 76 i morti.
Lo stesso dì, due anni dopo, nel ’95, Timothy McVeigh e Terry Nichols attentarono al Murrah Federal Building di Oklahoma City: 168 le vittime.
Nei gesti di Harris e Klebold, gli stessi istinti dei patrioti (..) fanatici di Trump: l’iconografia nazifascista, i frammenti disordinati della storia americana, l’assetto guerresco, il razzismo.

“Elephant” di Gus Van Sant, il film americano più importante (e straordinario, di una bellezza spaventosa: Beethoven, le nuvole nel cielo e gli spari) di questo secolo, ci mostrava il vuoto, le armi, il culto dell’ultraviolenza, il dolore.
Ci fece comprendere cosa stava accadendo ai neuroni di una generazione, psichicamente fragilissima, che stava diventando adulta: la prima videoelettronica, esposta a un bombardamento ossessivo di stimoli nervosi.
Un’umanità digitalizzata priva del tempo per elaborare correttamente l’empatia: gli schermi, che già negli anni Novanta rimandano allo specchio le immagini di sé, e le informazioni sovraccaricano il cervello.
Il prossimo diventa più facilmente uno sconosciuto, o un nemico, che possiamo leggere solamente attraverso lo stereotipo: in mezzo, a mo’ di scudo protettivo, i media, i soldi, la merce.

Harris, il ducetto dell’operazione, era diventato un esperto di “Doom” che giocava via internet, tra un post misantropo e uno stemma del Terzo Reich.
L’immaginario si crea prima nella fantasia: dei videogame, dei giochi di ruolo e di guerra.
Poi si manifesta in una mente globale interconnessa, che mai come adesso dispone di una potenza tecnologica così efficace.
La bestia QAnon parte da questi presupposti, dalle piattaforme dei giochi in rete, realizzando lo scacco matto comportamentale: gli adepti, convinti di possedere un segreto (e la verità assoluta), non stanno scoprendo la storia ma – nel formicaio degli algoritmi – la stanno creando (ignari) loro stessi.
Usando le parole di Reed Berkowitz: un gioco (il gemello cattivo dei giochi) che gioca (telecomanda) i giocatori.
Berkowitz sottolinea anche il fattore apofenia: il pensare, erroneamente, di aver riconosciuto uno schema (preordinato) in un dato (un fatto) casuale.
Guidare l’apofenia, realizza il passo successivo del concetto cospirazionista, dando origine a un laboratorio della fiction (e del fattoide) che si aggiorna a ogni teoria.
Quelle di successo si rinnovano: la propaganda e la manipolazione sono talmente evidenti che non vengono più avvertite.
Perché rispondono al bisogno isterico di condannare l’oggetto dell’odio.

QAnon si nutre della realtà virtuale, della sua massificazione, e del ritorno prepotente dell’occultismo (e dell’antiscienza).
Una guerra prima della guerra, psichica e plagiata, che si abbevera alle fonti degli Steve Bannon, Alex Jones (e di Fancy Bear..).
I brogli elettorali delle Presidenziali 2020 diventano i (nuovi) Protocolli dei Savi di Sion: un falso storico che smuove e un espediente retorico ossessivo.
Un mantra all’antrace.
E’ QAnon per struttura cellulare, basata sulla connessione subitanea dei satelliti, l’equivalente americano di Al Qaida per l’islamismo?

La galassia dei siti di gaming introiettano e ramificano la sostanza di quel mondo.
Il suprematista Tim Gionet filmava (allegro allegro) la razzia al Congresso, mentre comunicava in livestreaming su Dlive con più di 16000 fans (..): e guadagnando oltre 2000 dollari per la diretta.
Quel mercoledì, 150000 profili (neonazisti) usavano Dlive per amplificare la furia di quelle ore.
Se Parler (un buco nero di metadati non protetti, al contrario di Facebook e Twitter) è un social classico (aggressivo), Dlive reitera una nebbia di particelle che ospitano contenuti “X-tagged”.
Come ribadito da Mr. Jovanovic, streamer in incognito, al New York Times: “Assomiglia a un edificio di cartone. Non appena premi il bottone, è morte e carneficina.”
Murder The Media, la parola d’ordine dell’Epifania a Washington: il giornalismo, quello d’inchiesta (liberal), è il nemico numero uno delle truppe QAnon.
Il caos delle sigle, che appaiono e spariscono, non confonde il bordone dell’impresa.
Alcuni streamer – i più popolari – ricevono donazioni generose, fino a 20000 dollari al mese.

Ogni cosa converge nel collo di bottiglia del flusso di denaro.
Le perplessità (legittime) di Angela Merkel sul potere mediatico di Twitter sembrano ucroniche, quando Deutsche Bank – in questi anni – ha finanziato la Trump Foundation per più di 300 milioni di dollari.
Dovevamo arrivare ai Proud Boys per comprendere la pericolosità del meccanismo?
Un meta-oggetto, internet, è diventato onnisciente.
A un’élite di imprese private, una rete commerciale (di prodotti in vendita, compresa la politica), si chiede di colmare la voragine aperta dalla mancanza di regole e di visione (nostra, collettiva) del futuro.
Gli esegeti del mercato si scandalizzano che una compagnia, multinazionale, stabilisca la liceità dei contenuti che vende (!).
Un supermercato non può decidere gli articoli esposti?
Abbiamo forse creduto troppo al romanzo dell’universo (il sapere, l’intrattenimento, l’informazione, le relazioni sociali..) che stava in una tasca: era una strategia di marketing, fin dalle origini del successo.

Prima della rete, del sistema di comunicazione digitale, eravamo disinformati?
Non avevamo cultura?
Non era chiaro – dal 2001 in poi – che l’informazione era altro rispetto alla viralità, alla quantità (bulimica: un horror vacui), alla velocità della stessa?
Ci si informa sui fatti e una visione multilaterale e prospettica, oppure su uno slogan (pubblicitario), un titolo acchiappaclic veicolato da immagini choc?
Al di là del bailamme, dietro l’angolo ci aspetta altro: l’Intelligenza Artificiale gestita prima da Big Tech e poi dagli Stati, per esempio.
In un pianeta che continuiamo a pensare in inglese (americano), quando più della metà dello stesso parla e scrive in mandarino, arabo e spagnolo.
Internet, dopo l’annessione neurolinguistica dell’umanità, dovrà capire come evolversi definitivamente.
Due strade, opposte: un circuito sociale, tecnologico, consumistico e virtuoso o un mostro hi-tech che realizza Simulacron.
Nel secondo caso, la fabbrica di altri trump e bolsonaro, a Ovest come a Est, sarà senza soluzione di continuità.