STORIA DEL BEAT

Venerdì 22, paura e delirio sulla Streif. Il mostro, che comincia buttandosi giù dall’Hahnenkamm, era più terrorizzante del solito.

Le tre sezioni della picchiata parevano a sé: sulla Steilhang il ghiacciolino, dalla sequenza di curve della Seidlalmsprung i segni, evidenti, e il sapone nel finale leggendario (sconsigliato ai deboli di cuore).

Kitz è Kitz, gli atleti devono avere la pellaccia, lo stomaco forte. Siccome la Streif può tutto, la follia degli organizzatori permette loro un dentino (televisivo) sullo Zielschuss, con volo incluso a quasi 150 chilometri orari.

Lo schianto di Urs Kryenbuehl, faccia avanti, ci riportava – nello stesso punto – a Scott Macartney (2008) e Daniel Albrecht. Due delle tante vittime sacrificali della bestia bianca.

Che, anche senza le migliaia di indiani attorno alla striscia, non attenuava il suo senso assoluto.

Raffigurato al meglio dalla discesa (attesissima) di Beat Feuz, lo sciatore che ha sette vite come un gatto.

Quarantasei metri di salto alla Mausefalle, l’uscita del Larchenschuss dipinta, un numero circense all’Hausberg – uno sci su, uno sci giù – per imboccare l’Hausbergkante.

Dopo quattro secondi posti, la Streif si consegnava all’interprete di maggiore classe di questo evo della libera.

Giustizia è fatta. Primo Feuz, secondo Matthias Mayer e terzo Dominik Paris: i tre fuoriclasse della velocità, sul podio, racchiusi in 56 centesimi. Beato lo sport che offre questo spettacolo.
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  IL NUOVO PIRMIN ZURBRIGGEN

La storia sportiva di Beat, che compirà 34 anni il prossimo 11 febbraio, se rientrasse nella normalità delle cose sarebbe già stata archiviata da tempo.

Ma Feuz, incurante della logica, a mò di araba fenice è da un lustro uno dei ras dell’universo bianco.

A dispetto di un destino carogna, che si è divertito a smontare i progetti di una generazione d’oro.

La penultima dello sci svizzero, futuribile e dominante, con lui (classe 1987), Carlo Janka (un ’86), Daniel Albrecht e Marc Berthod (entrambi dell’83).

Un gruppo che ci racconta quanto potenziale avesse quella nidiata e le sfortune accumulate in serie.

Se Albrecht lasciò una carriera da primattore sullo Schuss finale della Streif, nel 2009, l’aritmia cardiaca fermò Janka all’apice delle sue possibilità (nel 2011).

Il vallese di Schangnau, cresciuto a neve e cipolle col babbo che azionava lo skilift per lui e gli amici, è nato polivalente.

A 15 anni si impose nello speciale del Trofeo Topolino.

Esordì in Coppa giovanissimo, diciannovenne, nel dicembre 2006 nella supercombinata di Reiteralm, e mostrò le doti – da fenomeno – alla rassegna iridata juniores di Altenmarkt.

Quando fece incetta di medaglie, tre d’oro (nelle due discipline veloci e in combinata) e una di bronzo in slalom: il nuovo Pirmin Zurbriggen o giù di lì.

L’INCIDENTE DI ZERMATT E LA STAGIONE MAGICA 2011/2012

Nel settembre 2007, in allenamento a Zermatt, Feuz si ruppe i legamenti del ginocchio sinistro e cominciò la Via Crucis degli infortuni (gravi).

Ahilui, i continui incidenti sarebbero diventati quasi una consuetudine. Sarebbe ritornato, a pieno regime, solamente nel 2011: prima un lampo, a Chamonix, a gennaio, nella manche di discesa della combinata, poi un paio di tuoni, a marzo, alle finali di Kvitfjell.

Quando si impose nel recupero di una libera al fotofinish (cinque centesimi) su Erik Guay e, il dì dopo, chiuse terzo dietro al duo del Wunderteam, Michael Walchhofer e Klaus Kroell.

L’esplosione della stagione seguente, il 2011/2012, venne di conseguenza.

Feuz – nella classifica generale – sarebbe arrivato a venticinque punti da Marcel Hirscher: una Coppa che perse, in discesa, tra Garmisch e Chamonix.

In quei mesi, con quattro vittorie e altri nove podi, l’impressione fu di un Beat ormai pronto alla sfera di cristallo (o a più di una..) e rivale di Hirscher nel lustro successivo.

E forse, pensando alla (clamorosa) striscia del re austriaco, col senno di poi furono proprio i guai fisici del vallese ad agevolarne il dominio.

Feuz si infortunò al solito ginocchio sinistro, su un salto, vincendo (!) la gara preolimpica sulla Rosa Khutor di Sochi.

Pensò di ovviare all’inconveniente facendo rimuovere, chirurgicamente, alcuni frammenti ossei dall’arto ma l’operazione si rivelò inutile.

Anzi, un disastro: tornò il dolore, nella preparazione estiva in Argentina, e dovette saltare l’intero 2012/2013.

RE SULLA CORVIGLIA

Rientrò sulle uova, a mezzo servizio, nel novembre 2013 a Lake Louise. L’atleta versatile, il tuttofare di Altenmarkt, non c’era più: Beat mostrò però una classe inalterata (naturale) per la velocità.

Nei giorni di massima ispirazione, un modello originale di liberista, ammirato poche volte prima di lui.

Che si esalta sui pendii classici (Birds of Prey, Lauberhorn, etc.), più complicati di quelli moderni, malgrado quel ginocchio che non sarà mai più al cento per cento.

Il nuovo Feuz venne annunciato da un bronzo ai Mondiali di Vail, dietro al compagno Patrick Kueng e a Travis Ganong.

Un altro incidente in Cile, d’estate, con la rottura parziale del tendine d’Achille della gamba destra, e l’ennesimo stop obbligato.

Eppure, nell’inverno 2016, alla terza competizione appena, arrivò l’incredibile seconda piazza – dietro Peter Fill – sulla Streif di Kitzbuhel.

In seguito, altri due podi e la doppietta discesa-SuperG in quel di St Moritz: a quattro anni dall’ultimo successo.

L’antipasto di uno storico titolo iridato, nel 2017, sulla Corviglia, correndo una fase centrale e una esse da Maestro.

La grande campagna 2017/2018 lo vide quasi sempre il migliore sulle piste monumento.

A Kitz pure, di quelli della primissima fascia, prima che il sole favorisse i numeri alti e il sorpasso (beffardo) di Thomas Dressen.

L’Olimpica dell’Alberta, il Lauberhorn e la Kandahar gli scalpi di quei due mesi: così Feuz tornò sulla cima del circo bianco.

Un argento e un bronzo sull’autostrada bianca di Pyoengchang e soprattutto tre coppe (consecutive) in discesa, nel suo triennio.
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Il rossocrociato, per caratteristiche tecniche, pare un compendio di tutte le qualità richieste a un uomo jet moderno.

Con quel fisico improbabile, un trattore coi piedi intelligenti (..), imposta traiettorie tutte sue, diverse dalla concorrenza.

Feuz è un fantasista sul filo, che privilegia le linee sporche e la salvaguardia della velocità sullo stile.

Mago delle zone di raccordo, un mix unico di forza fisica, di istinti da acrobata sui dossi e i salti e della lettura, lucida, da pokerista, dei passaggi chiave.

L’ultimo Beat è uno dei pochissimi eredi, veri, della stirpe dei liberisti doc, non un gigantista evoluto: uno che condivide quell’attitudine alla velocità, massima, al pari di alcuni Grandissimi del passato.

Il vallese, nel dna, è un pò Roland Collombin, Franz Klammer, Franz Heinzer, Kristian Ghedina: gioca coi limiti estremi della specialità.

Il campione del mondo 2017, al di là dello sci rimane un uomo che ama la montagna.

Non è mai banale nelle dichiarazioni, nel rinnovare il suo amore per le Alpi e le inquietudini su un inverno sempre più corto (e tiepido) e quelle piste bianche circondate dal verde dei prati.

Nella vita, sta mettendo su famiglia con la compagna Katrin Triendl, ex atleta austriaca: nell’estate 2018 è arrivata la primogenita.

Cinque cicatrici al ginocchio sinistro gli ricordano la sua passione per questo sport: venerdì 22 gennaio, in un mezzogiorno di follia a Kitzbuhel, Feuz ha chiuso il (suo) cerchio.