FABIO CASARTELLI, UNA CURVA TROPPO LUNGA DEL PORTET D’ASPET: ERA MARTEDI’

Era martedì 18 luglio 1995 e il Tour de France disputava la quindicesima frazione, sui Pirenei, la cosiddetta tappa regina.

La Grande Boucle era già, virtualmente, del Faraone Miguel Indurain, al quinto sigillo consecutivo.

Al trentacinquesimo chilometro della Saint Girons-Cauterets, scendendo dal Col de Portet d’Aspet, nella seconda parte del plotone qualcuno approcciò lungo – troppo lungo se si superano gli ottanta all’ora – una curva.

Dante Rezze finì giù nella scarpata, lo recuperarono con dei mezzi di fortuna.

Caddero Johan Museeuw, Giancarlo Perini, Erik Breukink, Dick Baldinger e Fabio Casartelli.

Si rialzarono quasi tutti, il vecchio Perini con una ferita evidente, ma superficiale, alla spalla destra.

Baldinger e Casartelli rimasero a terra.

Fabio Casartelli, numero 114 sulla schiena, giaceva sull’asfalto nemmeno dormisse come un bambino.

Il sangue attorno fece capire – subito – la gravità dell’incidente.

Lo portarono via in elicottero e il medico Gerard Nicolet, il vice di Porte, tentò il miracolo: venti fiale di adrenalina, tre rianimazioni.

All’ospedale di Tarbes, malgrado gli sforzi dell’equipe, nove litri di sangue trasfusi, Fabio Casartelli morì.

Aveva ventiquattro anni.

Erano le due del pomeriggio e i suoi colleghi, nella canicola, affrontavano il Col d’Aspin.

Un corazziere, col fisico da classicomane, passista veloce (anzi, velocissimo), nel 1992 il comasco ebbe una stagione straordinaria.

Nell’anno olimpico, a qualche mese dalla firma coi professionisti, realizzò un filotto impressionante di successi: il Gran Premio Diano Marina, la Montecarlo-Alassio, il Trofeo ZZDSI, il Trofeo Caduti di Soprazzocco e il Trofeo Minardi.

Giosuè Zenoni, il cittì dei dilettanti, lo preferì a Michele Bartoli e divenne uno dei tre azzurri della prova su strada a Barcellona.

Gli italiani dominarono la corsa: Mirko Gualdi fece il diavolo a quattro, Davide Rebellin (uno dei grandi favoriti) lo specchietto per le allodole e Casartelli si prese l’oro.

Nella fuga decisiva, vinse per distacco (..) in volata contro Erik Dekker e Dainis Ozols; a 35 secondi, quarto e primo del gruppo dei battuti, Erik Zabel.

Il passaggio tra i ras fu difficile, la vittoria a Cinque Cerchi generò troppe aspettative: cambiò tre squadre, l’ultimo approdo alla Motorola, formazione americana ma con la base dalle sue parti.

C’erano Massimo Testa, il dottore del gruppo sportivo, e Andrea Peron, l’amico di allenamenti che era con lui in Spagna, nell’estate del suo trionfo, e col quale condivideva la stanza al Tour.

Lance Armstrong, prima di diventare Darth Vader, e Steve Bauer, vecchio campione degli anni Ottanta che perse una Parigi-Roubaix per un millimetro.

Fabio era di Albese e lì ci viveva con la moglie, Annalisa, e il figlio, Marco, nato due mesi prima di quel giorno.

A Cauterets si impose la maglia a pois, Richard Virenque.

La Festa di Luglio celebrò il suo protocollo come se nulla fosse accaduto: la carovana pubblicitaria, i fiori al vincitore, i sorrisi delle miss, il circo chiassoso.

Al traguardo alcuni giornalisti televisivi attesero gli atleti, sfiniti e perlopiù ignari della tragedia, chiedendo loro – a bruciapelo – di commentare l’evento.

Telecamera, microfono in faccia e una domanda al pari di una lama di coltello conficcata nel cuore.

Andarono a trovare Casartelli in tanti, all’ospedale, quella sera, e cominciò il tamtam – tra un albergo e l’altro – dei corridori.

Gli italiani soprattutto (Davide Cassani e Gianni Bugno in primis) decisero per un trasferimento non agonistico il dì seguente.

Alcuni, per esempio Bjarne Rijs che lottava per il podio, all’inizio si opposero; poi, constatato lo stato d’animo di tutti, aderirono.

Tony Rominger dichiarò: “Gioire e fare premiazioni, brindisi e balletti quando un ragazzo di ventiquattro anni, uno di noi, è morto sulla strada durante la corsa?

Qualcuno deve dare un segnale per iniziare il cambiamento. Serve un’azione dimostrativa.”

Mercoledì 19 Luglio, da Tarbes a Pau.

Il minuto di silenzio alla partenza si trasformò in 237 chilometri di corteo funebre, otto ore sotto il solleone.

Eravamo già in piena Epolandia, ma diedero una lezione al resto del mondo.

Fu un gesto struggente, bellissimo, che rivelò l’umanità, la fatica e il dolore.

Passa il tempo (“La morte sta anniscosta in ne l’orloggi”) e sempre più ci spaventiamo – invecchiando – di fronte a una discesa o a uno sprint affollato.

Forse perchè adesso quei giovani uomini potrebbero essere nostri figli.

Nello sport, oltre al ciclismo, solo lo sci alpino ci terrorizza così: li vedi cadere in una libera e ti sembra di sentire il rumore delle ossa.

Pensi a Ulrike Maier.

Le parole giuste, da contadino saggio eppure ciorianesche, furono quelle pronunciate da Miguel Indurain: “La vita è dura: fuori ci sono altri uomini che muoiono per il loro lavoro.

Nessuno spende per loro parole o righe di inchiostro.”

A Casartelli è dedicato il Gran Premio Capodarco, in quel di Fermo, la classica under 23 più importante del calendario estivo nazionale.

C’è una fondazione a suo nome.

Sul Col de Portet d’Aspet, nel luogo dove cadde, una stele lo ricorda.

Il Tour de France anche quest’anno, il 16 Luglio, nella Lannemezan-Plateau de Beille, transiterà in quel punto.

Annalisa, per ricostruire la propria vita, è andata via da Albese.

Marco Casartelli il 13 Maggio 2015 ha compiuto vent’anni.

Pubblicato da Indiscreto il 7 luglio 2015