PLUME, STORIA E MALEDIZIONE DEL PRIMO CAMPIONISSIMO – PARTE PRIMA

“Ci trattano come bestie sul campo della fiera.”

Nella figura di Henri Pelissier possiamo leggere le viscere del primo Novecento sportivo, scoprire la nostra infatuazione per quel mestiere (crudele) che si chiama ciclismo.

Plume fu così personaggio da rappresentare, da solo, già tutta l’epica sporca di un rito: ebbe una carriera agonistica pari alla vita, cioè esagerata e improbabile.

Nell’essenza tormentata di quella Francia, pareva una trasposizione in carne e ossa di uno dei protagonisti bastardi dei romanzi di Celine.

Campionissimo anomalo e bizzarro, spostò verso l’infinito la complessità della sua professione, rappresentandone (inconsciamente) un avamposto.

Nulla è banale nell’anabasi di Henri: fu così che iniziò la sua odissea a sedici anni, cacciato di casa dal padre.

I Pelissier, originari dell’Auvergne, si trasferirono a Parigi per scappare dalla miseria: allevatori di bestiame e produttori di latte, in una fattoria ai limiti della sopravvivenza.

Fu proprio la bicicletta, mezzo di lavoro per le consegne mattutine, lo strumento per sfuggire a quel destino e la ragione del suo allontanamento dalla dimora paterna.

Primogenito di quattro fratelli, se Francis e Charles (come vedremo) ne seguiranno con successo le orme, Jean (il secondo della stirpe) non mostrò mai interesse verso il ciclismo.

Malgrado una vigoria fisica, evidentemente insita nel codice genetico dei Pelissier, che ne fece un contadino stakanovista, dalla forza taurina.

Henri invece, ancora giovanissimo, fu soprannominato Ficelle (il pane francese più sottile…) per la magrezza: caratteristica accompagnata a doti atletiche straordinarie, moderne, che oggi ne farebbero ancora un campione.

La Piuma, ecco spiegato l’altro nomignolo, fu precursore anche in questo: a un cuore eccezionale, si unirono gambe lunghe e affusolate, che gli consentivano uno stile sconosciuto alla concorrenza, a dispetto di strade infami e mezzi meccanici arcaici e pesanti.

Si distanziò dallo stereotipo del ciclista scorfano, elegante malgrado le fatiche (omeriche) di quell’era pionieristica.

Che potesse diventare un fuoriclasse lo capì, per primo, il leggendario Lucien Petit-Breton: l’Immortale che passò il testimone del califfato a Pelissier, contraddistinse l’epoca antecedente aggiudicandosi le gare più prestigiose del calendario di inizio secolo.

L’incontro, talmente casuale da far pensare a un segnale del fato, avvenne il giorno di Ferragosto del 1911.

La proposta, che cambiò definitivamente la sua esistenza, fu di accompagnare in Italia “l’argentino” (Lucien Mazan, il suo vero nome, cominciò l’agonismo da emigrante in Sudamerica) per una serie di corse.

Sceso dal treno a Milano, salì nell’empireo della pedivella.

L’Italia fu importantissima per Pelissier: nel Bel Paese si affermò subito, esibendo le caratteristiche (tecniche e comportamentali) che lo resero un divo.

La tumultuosa e controversa affermazione al Giro di Lombardia 1911 inaugurò la sua rivalità con Costante Girardengo, il primo Campionissimo della storia di BiciItalia.

Un duello perfetto perchè contrappose due atleti completamente diversi: aggressivo e spavaldo il francese, attendista e implacabile l’omino di Novi Ligure

L’archetipo di riferimento di tutti i duelli futuri.

Henri, lunatico e dal carattere volatile, si prestò sempre alla bisogna: preannunciò varie volte le sue vittorie e mantenne la promesse, instaurando un conflitto permanente con l’intero scibile umano (colleghi, giornalisti, organizzatori, folla).

Amava essere odiato?

L’altro nemico storico sui pedali fu Philippe Thys, straordinario rouler belga.

Pelissier divenne Pelissier grazie al Tour 1914 e alla sfida con l’uomo di Anderlecht.

Quella Grande Boucle incrociò la sua storia con un avvenimento epocale del secolo breve: il via infatti fu dato il 28 giugno, la mattina dell’attentato di Gravilo Princip che uccise l’arciduca ereditario d’Austria e sua moglie, la duchessa di Hohenberg.

La partenza della Grande Boucle coincise dunque con l’inizio della Grande Guerra.

Plume si sentì deufradato della vittoria, le polemiche infuriarono dopo l’epilogo della frazione di Dunkerque.

Successe che Thys, a poco dal traguardo, ruppe la forcella: quel ciclismo primitivo non permetteva per regolamento l’assistenza tecnica.

Il belga chiese aiuto a un negozio di biciclette sulla strada (!) e, penalizzato dalla giuria di trenta minuti, riuscì a salvare la maglia gialla per meno di due primi.

Il Pelissier, che durante quella frazione venne pure ostacolato da un gruppo di facinorosi, cominciò un contenzioso con l’inventore del Tour, nonchè il patron, monsieur Henri Desgrange.

I botta e risposta tra i due – velenosissimi – divennero la prima forma di promozione dello sport senza il fatto agonistico in sè.

Plume rivoluzionò i parametri dell’atleta professionista, con lui finalmente anche un essere parlante e dialogante.

Stabilì un rapporto diretto con i media di allora e divenne personaggio a tutto campo, al di fuori della retorica fangosa dei fachiri; povericristi muti e rassegnati.

Il carteggio con Desgrange, contestato nel corso degli anni in maniera quasi sprezzante, fu anche un gioco delle parti: regalò un’esposizione mediatica mai verificatasi prima e nemmeno presa in considerazione.

Il direttore lo apostrofò in modo a dir poco variopinto: “Pelissier può vincere tutte le corse tranne il Tour. Un campione arrogante e presuntuoso. Baciato dalla classe ma incapace di soffrire.”

Anche da questo punto di vista, i due esplorarono un territorio vergine, anticipando l’immaginario dello sport professionistico moderno. 

Henri, superomista a cavallo del suo trabiccolo di acciaio: “Gli altri sono cavalli da tiro, io un purosangue”.

Il giorno dopo questa boutade forò e il gruppo si coalizzò per non farlo rientrare: lui e il fratello Francis furono lasciati a trenta minuti di distacco.

Primissimo sindacalista della pedivella, contestò il trattamento inumano degli organizzatori che, oltre il sadismo, imposero regole assurde ai corridori.

Durante il Tour si arrivò a controllare le razioni di cibo (!) per consentire lo stesso quantitativo a tutti i partecipanti: Plume fu il contestatore, isolato, di quella mentalità retrograda.

Creò anche il primo sindacato ciclisti, ma ebbe poco sostegno da parte dei colleghi: d’altronde, Pelissier fu tale anche per la diffidenza dell’ambiente, visti i pessimi rapporti con l’intera umanità di questo Zeno Cosini di umili origini.

Nel 1920 il suo ritiro più clamoroso dalla corsa francese: in condizioni meteorologiche proibitive, meditò il ritiro durante la terza tappa ma sulla strada verso Brest, a Morlaix, scoprì di non avere abbastanza franchi per il treno.

Così, con Eugene Christophe, risalì la corsa per scaldarsi (..); una volta raggiunto il plotone di testa, decise di vincere la tappa ed eseguì la formalità con una volata impeccabile.

Allora programmò beffardo il rientro a casa dopo la quarta tappa, Brest-Les Sables d’Olonne, nella quale si impose in bello stile.

Per il travaso di bile di Henri Desgrange.  

“Si sta/ come d’autunno/ gli alberi/ le foglie.”

(Giuseppe Ungaretti)

Venne la tragedia bellica e l’Europa si trasformò in una tomba a cielo aperto.

I ciclisti, anche i campioni, partirono per il fronte e morirono.

Scomparvero Jean Pelissier e Lucien Petit-Breton, il maestro di Plume.

Carlo Oriani, vincitore del Giro d’Italia 1913, fu stroncato da una polmonite contratta attraversando più volte, a nuoto, il Tagliamento per salvare i commilitoni: spirò in un ospedale di Avellino.

Francois Faber, il gigante lussemburghese di Colombes che dominò un Tour, si arruolò nella legione straniera francese e cadde al fronte, durante la battaglia di Artois.

La Grande Guerra fece (anche) una strage di corridori: Lapize, Hourlier, Wattelier, Friol, Boillot, Eugel, Cadolle… 

Furono commemorati il 20 aprile 1919 alla partenza della Parigi-Roubaix, la prima edizione dopo il massacro.

Disputata in uno scenario spettrale, di devastazione e morte: i partecipanti dovettero montare pneumatici di seicento grammi, per via delle strade demolite e fatiscenti.

In un clima irreale, apocalittico, sottolineato da una cappa invernale di nuvole, si provò a correre e, puntuali, ritornarono Pelissier e Thys.

Nel Velodromo Henri precedette allo sprint Philippe: per un attimo, osservando le lacrime del belga battuto, il pubblico si dimenticò di quegli anni di sangue e distruzione.

(continua – 1)