LA SQUADRA D’ORO NEL FANGO DI BERNA

Il pomeriggio del 4 luglio 1954, in quel di Berna, pioveva fitto. Qualche ora prima, nel ritiro degli ungheresi, Ferenc Puskas aveva chiesto all’allenatore, nonchè vice ministro dello sport, di giocare la finale di Coppa Rimet. Gusztav Sebes, il cittì, malgrado Ferenc fosse reduce da un infortunio, accettò: un giocatore fresco, non reduce dalle corride degli ultimi due incontri, avrebbe fatto comodo. E poi era Puskas…

I Mondiali svizzeri del 1954 rappresentarono un momento fondamentale per le fortune planetarie della Coppa e della Fifa. Fu la prima edizione con una programmazione televisiva, l’immaginario della manifestazione crebbe a dismisura: il merito fu soprattutto dell’Ungheria, l’Aranycsapat, la squadra d’oro che stava dominando la ribalta.

Per spiegare quella nazionale, che avviò l’evoluzione del calcio moderno, si deve tornare indietro di vent’anni, quando il Metodo si impose in Europa. Il Mala-Ulika danubiano – Austria, Ungheria e Cecoslovacchia – sfruttava la superiorità tecnica dei suoi interpreti attraverso una ragnatela di passaggi corti, con un controllo palla esasperato. Il “gioco corto” scomparve dopo il secondo conflitto ma implementò, dal Sistema inglese, una nuova concezione tattica.

Gli ungheresi, dopo la fioritura dei Trenta, negli anni Quaranta produssero una generazione (irripetibile) di grandi talenti. Tibor Galowitch fu il selezionatore che cominciò il ciclo, Gusztav Sebes, dal 1949, assemblò la squadra dei sogni. Proprio quell’anno il Ministero dello Sport decise la creazione della rappresentativa dell’esercito, l’Honved, che sorse sulle ceneri del Kispest, e dell’ex MTK, che divenne il Voros Lobogo. Nell’Honved giocavano Puskas, Sandor Koscis, Jozsef Bozsik, Gyula Grosics, Laszlo Budai, Gyula Lorant. Nel Voros c’erano Nandor Hidegkuti, Péter Palotàs, Jozsef Zakarias, Sandor Gellér, Mihaly Lantos, Janos Borzsei. Incredibile pensare che, tre anni prima, se nell’Ujpest brillavano le stelle del Professore Gyula Zsengellér e di Stefano Nyers, nella linea d’attacco del Ferencvaros evolvevano pure Laszlo Kubala, Istvan Mike Mayer e il vecchio (..) Gyorgy Sarosi. Nel Maggio ’46, per sostituire l’infortunato “Kuksi”, esordì – opposto al Kispest di Puskas e Bozsik – un Sandor Kocsis sedicenne.

Nessuna squadra di calcio, in così pochi anni, ha saputo creare un immaginario così potente…

La fuga verso Occidente di un campionissimo come Kubala accellerò la creazione di un nuovo nucleo, e anche il Fardi vi contribuì: arrivarono Zoltan Czibor, Jozsef Meszaros, Laszlo Budai e Ferenc Deak. “Bamba”, il più forte attaccante del decennio, formò col giovanissimo “Kocka” un duo offensivo inarrestabile: nel 1948-49 vinsero il campionato segnando 140 (!) volte in trenta incontri (Deak 59, Kocsis 33). Fu la riforma statale del calcio ungherese – il Ferencvaros divenne EDOSZ e fu spolpato, con i migliori (Kocsis, Budai e Czibor) all’Honved – che escluse Deak dalla nazionale: allontanato perchè a disagio con le magnifiche sorti (..) del socialismo reale.

Dal 1945 al 1950 l’Ungheria giocò 27 volte segnando 105 reti; dalla sconfitta con l’Austria del 14 maggio 1950 rimase imbattuta per trentadue incontri…

L’Aranycsapat si rivelò definitivamente a Helsinki 1952: giunsero all’atto conclusivo realizzando un totale di 18 gol (e subendone uno) e la semi coi campioni olimpici in carica, la Svezia, si rivelò un manifesto della superiorità magiara (6-0). Il 2-0 a una grande Jugoslavia valse l’oro e un invito di Stanley Rous, presidente della Football Association, per un’amichevole a Wembley contro i “maestri” inglesi. Il 25 novembre 1953 cadde il mito (vetusto) della loro imbattibilità domestica. Dopo il fischio bastarono 43 secondi, nei quali i padroni di casa non riuscirono a sorpassare la propria tre quarti difensiva. La lezione di football, cominciata dal gol lampo di Hidegkuti, si concluse con un tuonante 6-3; la replica, a Budapest, fu brutale (7-1).

Sebes e la squadra d’oro umiliarono l’Inghilterra in ogni aspetto, tecnico e tattico, del gioco. In difesa, con i riflessi felini di Grosics tra i pali, praticavano il WM. Davanti invece rivoluzionarono il calcio: la presenza contemporanea di almeno quattro fuoriclasse (Bozsik, Hidegkuti, Puskas e Kocsis) permise la magia. Un centravanti arretrato, il playmaker Hidegkuti, creava gli spazi per gli inserimenti delle due mezze ali, i favolosi Puskas e Kocsis. Ferenc, un torello, dotato dagli dei di un sinistro dalle infinite possibilità balistiche; Sandor, il catalizzatore, disarmante per lo strapotere tecnico e fisico. Le punte erano sostenute da esterni che fungevano da facilitatori, Budai, o da attaccanti aggiunti, Czibor (artista del dribbling, una saetta). Dietro c’era un altro regista, il fenomenale Jozsef Bozsik, forse il più forte mediano di tutti i tempi. Per i movimenti e l’universalità esibita, la squadra d’oro era già il futuro anteriore: la semenza che porterà al calcio totale di Rinus Michels e Johan Cruijff.

La Fifa, per la Rimet 1954, scelse una formula demenziale: un obbrobrio che rispondeva a criteri politici, con teste di serie fasulle, gironi inaugurali che si prestavano a controversie di ogni tipo e un tabellone finale – quello degli incontri a eliminazione diretta – insensato. Le migliori si affrontavano prima dell’epilogo…

25 novembre 1953, Wembley, l’Inghilterra ospita l’Ungheria. Ferenc Puskas e Billy Wright guidano le squadre prima della partita che decreterà, con un eloquente 6-3, la superiorità dell’Aranycsapat.

La Germania Ovest era una squadra modesta, che dipendeva dai suoi tre elementi più dotati: Max Morlock e Fritz Walter (il metronomo) e, in avanti, lo strapotente Helmut Rahn. Però Sepp Herberger, l’allenatore, aveva un’idea del gioco – monolitico, basato sulla forza e l’agonismo – e una nazione umiliata, alle spalle, che vedeva il fussball come una formidabile occasione di riscatto. Comprese anche le dinamiche assurde del regolamento e risparmiò a molti titolari la contesa del Gruppo 2 con l’Ungheria: finì con un punteggio hockeistico (8-3 per i rossi) e un avvertimento ai magiari. Werner Liebrich mise kappaò Puskas con un intervento, premeditato, alla caviglia sinistra del numero dieci.

L’abbrivio dell’Aranycsapat al torneo si risolse quasi in una formalità (diciassette segnature in due partite); col Brasile, ai quarti, la sfida fu durissima. Malgrado il terreno pesante, che accentuò i contatti al limite, l’Ungheria (con i due Toth esterni e Czibor nella posizione di Puskas) scherzò i sudamericani che, con l’estremo destro Julihno – un califfo – e Bauer, schieravano Dyalma e Nilton Santos, e pure Didì, ovvero tre pilastri della selecao futura bicampione. Il 4-2, con la doppietta di un irresistibile “Kocka”, fu condito – dopo tre espulsioni sul campo – da una rissa al trillo conclusivo: calci, morsi, sputi e bottigliate in testa…

4 luglio 1954, Berna. E’ appena cominciata la finalissima della Coppa del Mondo: Toni Turek anticipa Nandor Hidegkuti.

La semi con l’Uruguay fu la vera finale, c’erano ancora gli eroi del Maracanazo – Roque Maspoli, Victor Andrade, Obdulio Varela, Juan Alberto Schiaffino (il Carlos Kleiber della pedata), Oscar Miguez – con gli innesti importanti di José Santamaria (che diventerà una delle colonne del Real Madrid di Puskas e Alfredo Di Stefano) e Javier Ambrois. Per sessanta minuti Bozsik e soci furono strepitosi: le azioni che portarono alla prima segnatura – traversone di Hidegkuti, assist di testa di Kocsis e rasoiata di Czibor – e alla seconda – fuga sulla fascia destra di Budai, cross e incornata (coraggiosa) di Hidegkuti – esemplificavano lo stile ungherese. Ma i detentori del titolo reagirono, malgrado l’usuale messa di occasioni dei rossi, e recuperarono lo svantaggio con una doppietta dell’oriundo argentino Juan Hobherg. Gli uomini di Sebes, nei supplementari, rischiarono di capitolare; due colpi di testa del solito Kocsis chiusero la battaglia, una delle partite più belle nella storia dei Mondiali.

I tedeschi dell’Ovest, dopo lo spareggio colla Turchia, ebbero dunque la metà più facile del tabellone, quella delle seconde classificate. Con la Jugoslavia li protesse la dea Fortuna: gli slavi comandarono, sprecarono l’impossibile sottoporta e furono condannati da un’autorete a freddo e, all’ottantacinquesimo, da un gol di Rahn in offside. La semi con un’Austria al crepuscolo fu ingigantita nel risultato (6-1) dalle papere del portiere Walter Zeman e dalla condizione atletica, stupefacente, di Morlock e soci. Il Pervitin era diffuso tra i soldati della Wehrmacht, durante la guerra serviva a mutare la paura in furore. Tre milligrammi di Pervitin erano anche la base (con la cocaina e l’Eukodal) del D-IX, la superdroga che venne somministrata, verso la fine del conflitto, ad alcuni equipaggi della Kriegsmarine. La possanza dei tedeschi sembrava il frutto di un’ottima preparazione fisica e di tanta metanfetamina.

Allo Stadio Wankdorf, a Berna, quel dì pioveva fitto. L’Ungheria si illuse con l’uno-due di Puskas (al 6′) e Czibor (all’8′); Morlock e Rahn ristabilirono subito la parità. La squadra d’oro capì che era il giorno sbagliato per giochicchiare cogli avversari. Laszlo Budai, al posto di un Puskas a mezzo servizio, avrebbe reso le cose meno complicate: al venticinquesimo Hidegkuti colpì un palo clamoroso; il colonnello, nel secondo tempo, fallì un’occasione banale sparando a salve su Toni Turek. Werner Kohlmeyer salvò rocambolescamente, due volte (anche di natica…), su Jozsef Toth, Kocsis prese la traversa.

Sotto un cielo nero, l’ennesimo presagio, all’ottantaseiesimo, Hans Schaefer rubò palla a un esausto Bozsik e la buttò in area. Sulla respinta, troppo corta, Helmut Rahn saltò Lorant: battè di mancina, sulla destra di un incolpevole Grosics. Il Miracolo di Berna si realizzò in quell’attimo. Col senno di poi, l’arbitraggio dell’inglese William Ling fu abbastanza infelice: sul pareggio tedesco non vide una carica di Schaefer al portiere e annullò, per un fuorigioco inesistente, il 3-3 di Puskas al 90′. Si disse che la Fifa non avrebbe gradito la vittoria di una formazione del blocco comunista…

I tedeschi, dopo Das Wunder von Bern, si ammalarono dello stesso morbo itterico che svilupparono al fronte, in massa, i soldati per l’abuso di metanfetamina. Contrassero l’infezione Fritz e Ottmar Walter, Rahn, Morlock e Karl Mai. Poi Heinz Kubsch, persino Herberger. Un medico della Federazione germanica, il dottor Zeitler, ammise le iniezioni di acido ascorbico, per lenire i sintomi della fatica, ma negò l’utilizzo sistematico del Pervitin. Difatti quel gruppo non vinse più. Però il successo contribuì alla creazione della Bundesliga moderna (1963) e all’arrivo di una generazione – quella dei Franz Beckenbauer, Helmut Haller, Uwe Seeler, Gunter Netzer, Wolfgang Overath, Gerd Muller… – che mise definitivamente la Germania Ovest nell’elite del football mondiale.

Il trio delle meraviglie Sandor Kocsis, Laszlo Kubala e Zoltan Czibor che fece grande il Barcellona. 

I fatti tragici di Budapest (1956) affrettarono la fine della squadra d’oro e di un’epoca: alcuni (Hidegkuti, Bozsik, Budai…) rimasero al di là della Cortina di Ferro. Puskas, Kocsis e Czibor decisero (..) di insegnare calcio in Spagna e nel resto d’Europa. Nel 1961 “Kocka” e Zoltan tornarono al Wankdorf, col Barcellona, per disputare la finale di Coppa dei Campioni contro il Benfica. L’incontro andò come sette anni prima, un’altra beffa (2-3) decisa – a dispetto del predominio blaugrana – da un’incredibile autorete: quello stadio, per loro, era maledetto.

Se pensiamo a Béla Bartok o a Sandor Marai, la diaspora, la fuga pregna di dolore, lo smarrimento, sembrano nel destino del Novecento ungherese. Il movimento calcistico, nemmeno rispondesse a leggi entropiche, dagli anni Settanta in poi, esaurirà la sua spinta propulsiva diventando insignificante.

Il 4 Luglio 1954, a Berna, la più grande squadra di tutti i tempi non perse solamente una partita di calcio.

Fonti: Sport Illustrato, Lo Sport, Occhio, Guerin Sportivo Almanacco dei Mondiali Spagna 1982, G.Giovetti “Il Gioco del Calcio a fumetti”

Pubblicato il 4 Luglio 2014 da Il Giornale del Popolo