Sabato 4 agosto 2019, sei giorni dopo l’incoronazione di un colombiano di ventidue anni (il più giovane dell’era moderna) sui Campi Elisi, Egan Bernal, si corre una classica del circuito World Tour. San Sebastian, che dagli anni Ottanta – dall’89 nell’allora Coppa del Mondo – segue la Grande Boucle, è un su e giù feroce per i monti baschi prima dell’arrivo in spiaggia. La Movistar dell’eterno Alejandro Valverde guida il forcing, in attesa dell’ultimo gipiemme, e le telecamere cercano – con un senso dello spettacolo, della sceneggiatura, che sa di predestinazione – Remco Evenepoel.
Che si era staccato, la salita precedente, e rientra, con le borracce nella maglietta (da sporgere ai suoi, rimasti nel plotoncino di testa). Il classe 2000, sul falsopiano che precede Murgil Tontorra segue l’allungo di Toms Skujins, cogliendo – alla perfezione – il senso tattico del momento. Sulle pendenze severe della collina, di ritmo, Evenepoel stronca il compagno di fuga: una scena già vista, una settimana prima, nella tappa di Còrmons all’Adriatica Ionica Race.
Nei Paesi Baschi Toms Skujins, in Friuli Fausto Masnada: i loro visi, sfatti, testimoniavano la potenza (brutale) del belga. A giugno, al Giro del Belgio, verso Zottegem, stesso copione con Victor Campeaerts, il primatista dell’ora (!). Che, sfinito dall’andatura della matricola, era sembrato cadere apposta (..) per non doverlo seguire più.
“Non ho mai visto una roba del genere..” All’esordio in una gara linea di alto lignaggio, lunga 227 chilometri, Remco – 19 anni e 190 giorni di età – trionfa con una dimostrazione di forza e classe, precedendo di quaranta secondi il campione olimpico Greg Van Avermaet e un’altra sorpresa, il ventenne Marc Hirschi. Un anno fa, nello stesso dì, da juniores, Remco correva l’Aubel-Thimister-Stavelot, una corsa a tappe di tre frazioni: vinse la prima (lunga 91 chilometri) e si impose anche nelle successive.
17 febbraio 2015, a Catanzaro, in un’amichevole, l’Italia under 15 batté 2 a 1 i coetanei del Belgio, a dispetto del momentaneo pari (segnato su respinta, di sinistro, dopo il rigore calciato e parato) del capitano dei diavoli rossi. Remco Evenepoel, l’autore della marcatura, terzino rapido e tecnico, quel pomeriggio fu anche il migliore dei suoi.
Al biondino, cresciuto tra l’Anderlecht e il PSV Eindhoven, alle prime difficoltà col calcio, venne voglia di ricalcare le orme paterne: il babbo Patrick corse – all’alba degli anni Novanta – nella Collstrop, costeggiando appena (un G.P. Vallonia nel palmarès) il ciclismo che contava.
L’anno dopo, a sedici anni, senza alcuna preparazione specifica, il ragazzo – “Per provare a stare qualche chilometro con i keniani e vedere come correvano” – disputò la mezza maratona di Bruxelles. Chiuse in un’ora e sedici minuti, col passaggio ai diecimila metri in 34’30”.
Succede in Belgio, laddove il senso per il ciclismo ha qualcosa di teosofico e totalizzante. Il luogo dove un adolescente sogna di essere Philippe Gilbert o Eddy Merckx, invece che Kevin De Bruyne o Paul Van Himst. Beati loro, fiamminghi e valloni. Abbandonò il pallone, salì in bicicletta, cominciò a dimagrire (era cicciottello – da futbalista – per gli standard minimi del ciclismo) e a vincere, subito. A maggio 2018, già a quindici affermazioni stagionali, come un Attila a pedali si prese il titolo nazionale juniores col suo numero preferito: la fuga solitaria (e il secondo a quattro minuti).
A luglio, agli Europei di categoria in quel di Zlìn, nella prova su strada, Evenepoel attaccò dopo appena dieci chilometri. Due giri, accompagnato da Carlo Rodriguez Cano, e poi l’assolo. Vinse per dispersione, col gruppetto degli inseguitori (?), regolato da Alexandre Balmer, a quasi dieci minuti.
Quella voglia matta di cercare l’impresa, lo stile, così compatto sul mezzo, la potenza, i dorsali e i quadricipiti molto evidenti (quelli si, un’eredità calcistica), ci ricordano il leggendario Sergei Soukhouroutchenkov. Il russo, ai tempi si usava, spingeva padelloni spaventosi; Remco, figlio di un ciclismo che cerca i watt con la frequenza più che la sofferenza, pedala invece di ritmo, comunicando – all’osservatore, d’istinto – l’impressione (o la certezza) di un motore alieno agli standard fisiologici classici. Lui, Egan Bernal e Mathieu Van der Poel, i cui parziali dell’srm, in occasione dell’Amstel Gold Race vittoriosa, mandano alle ortiche un decennio di vayerismi da bar sport, paiono l’avvento di una nuova specie.
Novantaquattro anni fa, Georges Ronsse fece sua la Liegi-Bastogne-Liegi (1925) a 19 anni e 102 giorni. Diventerà il prototipo dei flahute, dei fuoriclasse delle gare del Nord, la cui superfetazione mostruosa sarà rappresentata da Eddy Merckx. Il Cannibale, che rimbalza (a mo’ di eco in una gola di montagna) in ogni storia belga di successo, è – da mezzo secolo – l’ombra minacciosa di tutti i fenomeni di precocità di quel (piccolo) mondo. Una maledizione soprattutto, che coinvolse pure – tra gli altri (Daniel Willems, Fons De Wolf, etc.) – il mefistofelico Frank Vandenbroucke e Freddy Maertens.
Freddy che fu – in quanto a chassis complessivo – non troppo distante dal modello originale (l’Eddy): un biennio da iradiddio, razziando gare e kermesse senza criterio, bulimico di soldi e gloria, e poi, a ventisei anni, un alcolizzato. Uscendo dal Belgio, ricordando la Clasica di San Sebastian delle origini, ci sovviene l’Alto de Jaizkibel spianato da Jan Ullrich versione cingolato, 1996, Robosport pieno (che non ci manca affatto..). Ulle, un fenomeno, qualche mese dopo il sigillo al Tour (1997) a ventitre anni, l’inverno successivo sarebbe ingrassato di quindici chili. Evenepoel sembra gestire il giochino con meno disagio. La decisione ritrattata di trasferirsi nel limbo (non solo fiscale) di Monte Carlo ha a che fare con la pressione, le aspettative, che dovrà affrontare: le diecimila persone che assiepavano il suo primo circuito post Innsbruck 2018, per vederlo con addosso l’arcobaleno juniores (sigh), sono solo l’antipasto.
Prevedere l’avvenire nello sport professionistico più duro di tutti, nei giorni della tragedia di Bjorg Lambrecht, è un esercizio complicato. Ci sono stati diciannovenni ancora più impressionanti di Remco, ma si chiamavano Fausto Coppi e Jacques Anquetil, e vivevano in una società che non prevedeva ancora l’adolescenza. Sarà indispensabile, oltre che un contratto con la Dea Fortuna, una testa (fortissima) alla LeBron James, uno che seppe resistere al peso di essere etichettato, appena sedicenne, il Prescelto.
Tecnicamente, il biondino avrebbe ancora la gamba da definire meglio (e ci mancherebbe: sono due anni e mezzo che corre..) e la guida tecnica della bici da perfezionare. Imparerà, presto, a muoversi (limare) nel gruppo.
I margini di miglioramento sono inquietanti: per la concorrenza.. L’idea, non solo osservando un ragazzino che vorrebbe succedere a Lucien Van Impe (1976), nell’elenco dei belgi trionfatori al Tour de France, è quella di trovarci nel bel mezzo di un passaggio storico nell’evoluzione di questo sport. Che, piaccia o meno, da eoni anticipa tutti gli altri.
Lo scenario, dopo il passaggio di Remco Evenepoel e dei suoi coetanei, non sarà più lo stesso.
Di Simone Basso