Si sta a Sun Valley in gita, col fuso orario sballato, ed è subito primavera.
Un’altra stagione del Circo Bianco è passata, un’annata storica per lo sci azzurro, e il resto non è mancia.
L’orchestrina suona, un po’ sguaiata, sulla nave, e all’orizzonte un iceberg.
Sei mesi di taccuino, di appunti in ordine cronologico, e un contenuto d’enfasi, di sbrodolamento, prossimo allo zero. Buona lettura.
1
Il ritorno di Lindsey Vonn, 40 anni, con una protesi al ginocchio destro martoriato da dozzine d’incidenti, fa il paio con quello di Marcel Hirscher olandese.
Spiega che – per i media generalisti – il passato torna sempre e che i grandi campioni, essendo campioni anche per quella forma mentis, sono sempre meno disposti ad abbandonare la ribalta.
Non per i soldi, quelli non mancano, ma per l’abitudine all’adrenalina dell’agonismo, della competizione.
Persone, giovani uomini e donne, disabituate a vivere il tempo (giusto) della propria vita, fortunatissima rispetto al 99 percento degli altri.
Negli eterni ritorni è sempre più evidente un disagio.
2

Gurgl è il futuro prossimo della Coppa del Mondo.
Un comprensorio ricco, a due passi dall’Italia, con una cresta alpina che consente di lavorare in sicurezza – si parte dai 2475 metri d’altitudine – per l’evento.
Poca vegetazione, vie di fuga più facili da allestire.
La prima manche uomini, col ghiaccio ma le temperature all’insù, è un One Man Show di Clément Noel. Che interpreta partenza (che gira), muro (lunghissimo) e pianoro alla perfezione.
Col vecchio (..) assetto, il secondo (Atle Lie McGrath) è già a 88 centesimi.
Leve importanti, un mix di potenza e agilità, la curva anticipata, una sciata reattiva e progressiva. Con una testa diversa, più freddo e calcolatore, più spietato, il francese avrebbe vinto almeno il doppio.
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Il sabato delle donne veniva firmato da Mikaela Shiffrin, 99 successi in attesa della tripla cifra. Il podio, intorno alla Regina, racconta la nuova onda. Il terzo posto, la vernice, della talentuosa Camille Rast. E il secondo, primo podio albanese di sempre, di Lara Colturi.
Due piedi due sulla neve, aggressiva. 18 anni e 9 giorni d’età, il più grande prospetto italiano (sigh) della prossima generazione. La Federazione si è beccata, in faccia, una specie di nuovo caso Marc Girardelli.
In un momento nel quale, vedi Lucas Braathen ed Henrik Kristoffersen, l’equilibrio tra progetto di squadra ed esigenze individuali, denari e pianificazione, si è forse definitivamente rotto.
L’aspetto meno contraddittorio della faccenda è che FISI e Daniela Ceccarelli hanno avuto ragioni valide per questa separazione, definitiva (tornasse azzurra, Colturi perderebbe tutta la dote di punti FIS).
O ci si sveglia, si comprende che a 17-18 anni si è quasi professionisti, oppure si rischiano – anche in altre nazioni – ulteriori cambi di casacca.
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A Killington sulla Superstar, il sabadì di Coppa diventa un thriller. 17000 persone nel parterre ad aspettare la Regina, la nevicata (abbondante) è stata rifinita da un vento impetuoso.
Si scia col sole, gli aghi della neve che volano, e un manto che sembra cemento e vetro (meno 10 la temperatura). La manche di Marta Bassino è drammatica: sul ghiaccio è paralizzata, il muro lo fa a spazzaneve. 4 secondi dalla Shiffrin.
Tra le (altre) campionesse, Lara Gut conferma di essere (molto) indietro, Sara Hector di essere fatta dal sarto per la neve gelata e i cambi di pendenza. Forza e tecnica, ribadite dal disegno di Walter Girardi (il suo allenatore) nella seconda prova.
Shiffrin, a 20 secondi da quota 100 nel circuito, cade male e ci consegna una festa mesta. La coppona si riapre: libere tutte.
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Lo slalom di Killington è vedovo di Shiffrin (e Petra Vlhova): l’occhio deve – ahinoi – abituarsi.
Si impone, sciando su una nuvola (sul muro ghiacciatissimo), Camille Rast. Che attendiamo da tempo, da quella volta di Flachau col pettorale 57: era il 12 gennaio 2021 e arrivò sesta. E’ arrivata adesso, a 25 anni (tardi), senza preavviso.
Indipendenza di gambe, base degli sci stretta, fluidità d’azione (rapida nei cambi). Slalomista di razza e cuore, tecnicamente sopraffina, matta come un cavallo. Festeggia il trionfo tuffandosi, a meno 12 gradi centigradi, nella piscina dell’albergo.
Abbiamo un Primoz Roglic nello sci alpino, considerando che l’elvetica va (andava) fortissimo nel ciclismo downhill. Un mare d’infortuni, la mononucleosi, i nuovi materiali (oggi è con Head), ne hanno ritardato maturazione ed esplosione.
La miccia Camille s’accende, all’improvviso.
6
A Beaver Creek, la 3 giorni dello sciatore evoluto finisce con un Gigante. Si parte dai 3151 metri, si arriva a 2721, il minuto e 17 della prima manche è un inno all’acido lattico.
Su una neve aggressiva, la tracciatura francese della mattina osa distanze – 25 metri tra una porta e l’altra – vecchio stile. Senza velocità da SuperG, con un manto del genere, curve ritmiche lente (..), Marco Odermatt le busca (sonoramente) da Thomas Tumler.
Stessi sci, uscita dal muro opposta, il trentacinquenne si mangia quasi tutti nei 18-19 secondi finali, dove la pista perde pendenza. L’unico sulle code del veterano è Zan Kranjec.
Il Red Tail Jump Tumler lo spiana, Odermatt lo subisce. Braathen col 29, prima metà di livello assoluto, una capacità di variare l’inclinazione dei due sci che è nel suo dna (da campione).
Nella seconda, più filante e standard, l’entrata al Golden Eagle molto insidiosa, le porte corrono veloci e permettono più licenze. Odermatt, alla terza curva, perde lo sci destro ed esce. Braathen, preciso, anticipa le traiettorie, legge i dossi e il pendio.
Tumler scende col cervello, cesellando il suo vantaggio rispetto al brasiliano: si impone per 12 centesimi. Prima vittoria a 35 anni, primo podio verdeoro di sempre in Coppa, norvegesi e rossocrociati sparsi ovunque.
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Speciale prima di Capodanno a Semmering. Sulla Panorama basta una tracciatura alla Ante Kostelic del babbo di Zrinka Ljutic, la mattina, per esporre i vuoti di sceneggiatura dello sci femminile. Un disegno aritmico, atipico, viene volato dalla sola Ljutic, che anticipa e non forza mai lo sci esterno.
Su una nevina già primaverile, roba da chiodi, in troppe affondano. Vedere un numero 12 come Mina Holtmann scendere a scavino, con le code che spazzolano, ci ricorda che mancano sette atlete delle top 30.
Il livello, non solo a causa delle assenze di Shiffrin e Vlhova, è mediocre. Basterebbe leggere età e nomi della protagoniste nella Generale: sono le stesse di un lustro fa. Il ricambio tarda ad arrivare, a dispetto della contumacia di alcune big, mentre tra gli uomini è una realtà.
8
Due dì prima, in Valtellina, a Bormio, Cyprien Sarrazin si schiantava nella prova cronometrata. Come lui, altri (Pietro Zazzi, tibia e perone), traditi da una pista pericolosa – la più difficile con la Streif – e da una neve monodica.
L’80 percento ghiaccio, il restante 20 nevina aggressiva. Il vento ha asciugato la fresatura. La Konta, che arriva dopo la piana di San Pietro, con gli atleti cotti, è il punto più bastardo della Stelvio. Che andrebbe rispettata di più, non solo temuta.
Perché troppi, velocisti e tecnici, si lamentano degli incidenti, dopo. Prima invece esasperano il set up. Facciamo nostre le parole del race director Marcus Waldner.
“Stiamo arrivando al limite, o lo abbiamo già superato, per quanto riguarda la sicurezza.. Il problema è l’attrezzatura! E’ troppo aggressiva, non c’è più margine.”
Sarrazin, uscito dalla terapia intensiva neurologica dopo quattro giorni e un’operazione per drenare un ematoma subdurale, potrebbe aver finito la carriera.
Sui suoi Rossignol, portati in alcuni passaggi da gigantista (a 120 orari..), nel circuito si è chiacchierato per tutta la scorsa stagione. Compresi gli scarponi, rigidissimi, che qualche anno fa erano morbidi: un assetto estremo, da acrobata rischiatutto.
9
A Sankt Anton, SuperG della domenica. Si sta sulla Karl Schranz per grazia ricevuta delle nuvole, che scherzano il primo gruppo velando il cielo. Sui curvoni, da gigantissimo veloce, le migliori vedono e non vedono. Persino Federica Brignone non piega come 24 ore prima, vittoriosa nella discesa sprint, Sofia Goggia (ottima fin lì) esce. Gut, dalla campagna per la coppona ’24, non pare più lei. Spunta il sole e s’impone col 17 Lauren Macuga, un’americana in divenire (classe 2002).
Torna buio (..) e Vonn, appena rientrata, finisce quarta. A 32 centesimi dal podio, col 31, leggendo a modo suo l’Ice Fall. Una 1984 con una protesi artificiale: fenomeno.
Per chiudere il cerchio, Malorie Blanc (33 di pettorale) arriva nona. Una 2004, ieri (numero 46) era giunta seconda, a 7 centesimi da Brignone. Era la seconda gara di Coppa della carriera. La svizzera potrebbe essere la prossima dominatrice del velocismo.
Dal Cantone Vallese, stesso gruppo di Camille Rast, quello di Florian Lorimier, un anno fa – dopo l’iride junior – si era rotta il crociato del ginocchio sinistro. Nemmeno undici mesi dopo, impressiona per la pulizia nella sciata e l’efficacia.
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Ad Adelboden, il Gigante si corre la domenica, poiché il meteo – per sabato – suggerisce lo slalom: decisione corretta.
La parte centrale è dossolandia, una duna innevata dietro l’altra, e con questi materiali certi passaggi sono da parallelo. Dalle baite si lotta, una porta alla volta, per non essere sbalzati via. Luca De Aliprandini, nella seconda manche scende come sa, cioé all-in, prendendo rischi inenarrabili. Finisce terzo, partendo dal dodicesimo dopo la prima.
Il poker di Odermatt si realizza sul muro (una tomba aperta) – al 60 percento di pendenza – che getta il gigantista sul traguardo, in bocca alle tribune. Re Marco, di forza e istinto, un 4×4 che derapa, stravolge le logiche. Contro un Loic Meillard eccelso, due binari due, la spunta per 20 centesimi.
Perché la Cheunisbargli non debba aver più punti in palio, per la top 10, resta un mistero.
La differenza tra un tempio e una gara qualsiasi di Coppa dovrebbe essere sottolineata anche dai punteggi: altrimenti si fa la fine, misera, dello sci di fondo.
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Nel 1996, con i prati a fianco della lingua bianca, Michael Von Gruenigen realizzò la (seconda) manche perfetta. Aveva i Rossignol da 208 centimetri ai piedi, drittissimi. Preparazione della pista che definiremmo deficitaria: una gruviera rispetto ai biliardini degli ultimi anni.
Miki pitturò la Cheunisbargli come un artista del Gigante. Uno stile, in quelle condizioni, inimitabile. For the ages.
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“Questa è casa mia!”
Ieri Franjo Von Almen aveva comandato il SuperG, oggi la discesa – a Wengen – è più tecnica: cortesia di quelle due curve prima dell’Hundschopf e dell’approccio alla Kernen-S, e Marco Odermatt (zero sorrisi in cabina) impone la sua legge.
Un passaggio alla Ziel-S, l’acido lattico nelle orecchie, da Gigante: la vince, sui 4400 metri di tracciato, in quel punto. Il tris lo affianca a Franz Klammer e Beat Feuz, nell’Olimpo.
Precede Franjo, il probabile erede, il rivale di casa: Switzerland uber alles. Quattro uno-due consecutivi nelle libere.
Reclutano atleti, li selezionano, li allenano con la tecnologia (gps) e i migliori preparatori dei materiali.
Sul Lauberhorn, 40000 spettatori, il cielo blu terso, l’Eigar e lo Jungfrau che vegliano, si festeggia la supremazia svizzera nello sci alpino. Il 2025 come il 1986. Odermatt e Pirmin Zurbriggen, i capintesta e le icone.
Ci sono pure Justin Murisier, Alexis Monney (forte forte..), Stefan Rogentin, ecc.
Meno di una settimana a Kitzbuhel e il miglior austriaco, Oti Striedinger, è diciassettesimo.
Il Wunderteam è rossocrociato.
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I Mondiali cascano sempre in piedi, per merito del personale agonistico, ovvero campioni e campionesse. Che il bis a Saalbach, la prima volta fu nel 1991, sia dovuto a fattori politici e ambientali, l’Austria comanda la baracca ed è giusto così, ci sta.
Sulla Schneekristall, un SuperG tutto dossi e traverse, Odermatt mostra linee aliene. Pulite, diritte, leggendo il terreno. Prima e dopo l’ultimo salto, sulla fettuccia del traguardo, l’elvetico distanza tutti di 4-5 decimi in meno di 8 secondi.
Lassù, sulle pendenze massime, ha fatto un altro sport. Il secondo, Raphael Haaser, becca un secondo. Il decimo, Jeffrey Read, due (1″99).
Ma la rassegna iridata, organizzata in un (grande) comprensorio che rimane una Kitz di Serie B, sembra un’occasione sfruttata così così, un pareggio. Assegnare medaglie per Giochi Senza Frontiere, tale è il Misto, svende il prodotto.
Far scendere le dame sulla Ulli Maier, un pendio mediocre, toglie valore tecnico alle competizioni veloci. Un SuperG tracciato da Alexander Hodlmoser per le sue, le americane, diventa la fiera delle slittone e dei materiali.
Lauren Macuga, bronzo: missione compiuta del tecnico.
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Giovedì del Gigante donne. Sulla Schneekristall, disegno di Pauli Gut, un percorso complesso, completo (53 porte), esigente dal punto di vista fisico (spossante). Col tepore, la neve grossa che alza acqua, i dossetti e le sequenze sincopate.
La pista dei sogni di Federica Brignone, col 4 di pettorale. Su un declivio senza muri, al massimo un 50 percento, la velocità si deve creare puntando le porte, senza intraversare lo sci (alla Gut), aggredendo la linea ideale.
Spingendo sul saponato, il suo elemento preferito, al contrario di una Hector (che vorrebbe il ghiaccio e i muri).
L’ultima parabolica di Brignone è un taglio diretto che si porta al traguardo, collegando un large gate all’altro. Solo Alice Robinson, sul nevoso sciolto, vicina ma non troppo (67 centesimi), le altre a una specie di baratro.
Nella seconda, Fede ripete la performance nello stesso settore: 107 porte, due o tre intraversate. Pista blu, mezzo buio, leggera su una nevaccia, primo tempo di manche opposta a una Robinson pimpante. A quasi 35 anni, Brignone è l’atleta più forte di questo 2025.
Pareggia Deborah Compagnoni ventunenne che – ahilei – lo fu ad Albertville 1992, prima di sbranarsi un ginocchio (il giorno dopo). Amarcord ucronico: quella Compagnoni sarebbe stata la prima azzurra a vincere la coppona..
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Slalom cavalieri sulla Ulli Maier, prima manche disegnata dai norvegesi. 10 metri e mezzo, un rapid gates e l’altro, angolatissimo, ritmico, sul duro. Non c’è un dosso, una variazione, il muro è da Coppa Europa (40 percento), il fondo sconnesso. Una pista monotona, infinita.
Noel, su un tracciato così dovrebbe pagare, invece porta a scuola tutti. McGrath a 64 centesimi, Timon Haugan a 70, gli altri affondano. Tranne Loic Meillard, con quella conduzione, che gattona e danza, si avvicina a 19 centesimi.
Nella seconda, più musicale, altrettanto agonica, Meillard genera inversione con gesti minimali: un fuoriclasse. 30000 spettatori, disegno francese, Noel si adatta al segno e, all’ingresso di quella specie di muretto, inforca.
Ennesimo oro elvetico, a 75 anni di distanza dall’ultimo nella specialità, solito Noel, campione incompiuto. Primo tricolore Stefano Gross, ventesimo, classe 1986. Dietro Brignone e Dominik Paris, bravissimo e sfortunato (a 3 decimi complessivi da due bronzi..), l’abisso.
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L’Italia, nel suo piccolo, dovrebbe mutuare alcuni bordoni di qualità della concorrenza, svizzera e norvegese soprattutto, per ripartire dopo Milano-Cortina 2026.
Ribadendo il concetto, lo riprendiamo dalle parole di Giorgio Rocca: “Lo sci è diventato uno sport per ricchi.” I costi per l’attività si sono decuplicati: senza un intervento, sistemico, la parabola declinante è assicurata.
Non basterebbe forse nemmeno l’arrivo di un Alberto Tomba, a truccare la realtà. Stavolta l’altoatesino giusto, fuori categoria, ha scelto il tennis al posto dello slalom.
E’ banale, ma è così, in questo paesello: se Tadej Pogacar fosse di Monfalcone, milioni di italiani ciarlerebbero di salite e cronometro. Nota a margine: la neve, sulle Alpi, in un secolo si è ridotta del 50 percento. In Italia, negli ultimi 5 anni sono state abbandonate 133 stazioni sciistiche. Il totale, sul territorio, è di 265.
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Vorremmo il pubblico di Saalbach ’25 senza le piste di Saalbach ’25. In quello, come livello tecnico, le Olimpiadi tra Stelvio e Tofane saranno (molto) meglio.
Al Sestriere, il venerdì del Gigante, si scia sul duro sotto e sul frullato sopra. Due si staccano dalle altre, le solite Brignone e Robinson alla mattina, Gut (uscendo) consegna la coppona a Federica che, all’una del pomeriggio, con un salvataggio DOC (non una casualità..), si prende tutto. Vittoria e Generale.
La domenica, manco fosse un film, Shiffrin – più o meno al 70 percento di sé – va a 100 col suo (amatissimo) slalom. La seconda, sulla pappa, temperature alte sulla Giovanni Alberto Agnelli, è un manifesto: azione continua, in spinta, controllo totale della parte superiore del corpo, malgrado i solchi. La nidiata Mika (lei, Gut, Goggia, Brignone, Vlhova, Holdener, Fenninger, Rebensburg, Weirather..) è qualcosa di irripetibile. Come Shiffrin stessa. Coviamo già una nostalgia preventiva.
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Venerdì marzolino, a Kvitfjell si recupera una discesa cancellata. Il giovedì Mattia Casse, su una neve sfatta e con un vento traditore, si era rotto il gomito. Scende l’armata elvetica e si piazzano tutti davanti, Re Marco in testa, ma quando arriva Paris si capisce (subito) che è la sua mattina. Sulla Olympiabakken va per il pokerissimo, spianando la Motocross e tenendo a bada Odermatt tra parabolica e Tommy Moe. I 134 orari sullo schuss finale gli consegnano la libera numero 19 della carriera.
Siamo a 6 successi da Franz Klammer e la statistica stavolta spiega chi è (stato) Dominik Paris. E chi se ne frega del buco nelle caselle delle coppette e delle medaglie: il più forte discesista italiano di sempre. Un campione poco pubblicizzato dai media generalisti, ma la grancassa non modifica la realtà (agonistica).
In Norvegia si mette dietro Odermatt, Rogentin, Von Allmen (autore di un numero da circo sul primo salto), Monney. La guardia svizzera al completo.
Paris avrebbe, nel febbraio 2026, una Stelvio per colmare quell’assenza nel palmarès. Ma un metallo olimpico pregiato non modificherebbe di una virgola il giudizio storico.
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La Thuile, il posto giusto per celebrare una Coppa italiana, diventa il simulacro (chissà se Baudrillard ha mai sciato..) di questo sci alpino. Un SuperG senza senso, e la colpa non è della squadra di Daniel Collomb, in una kermesse con una formula senza più senso. Si corre col caldo, la neve fresca, una pista “misto mare” (Goggia) dove – dal canalino in giù – si bada solo a “portare a casa la pelle” (Gut).
Che vinca il futuro, Emma Aicher, che siano sul podio Goggia e Brignone, è cronaca. Dopo l’interruzione, dal 10 di Brignone, per soccorrere un addetto colto da malore, 25 minuti di sosta, diventa una lotteria. Cornelia Huetter, in testa all’ultimo intermedio, si schianta sul salto finale. Cade Vonn. Dal pettorale 20 la sicurezza, tra buche e sale, è ai minimi termini.
Disegnare qualche curva in più, il tracciatore era il tedesco Charlie Pichler, doveva essere obbligatorio. Uno spettacolo scadente.
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Dispaccio dalla contea di Blaine. It’s so cold in Idaho. Lezione di SuperG della Gut-Behrami sulla Challenger (tosta) alle rivali: piede giù, entrata strettissima tra The Sluice e Cowboy’s Corner, passa The Redd come in un gigantone, a manetta.
1″29 su Vonn, 1″33 su Brignone, quarta Bassino (abbiamo un bisogno disperato della cuneese..). Il cannone puntato su Cortina, sull’Olympia, da Vonn (e Goggia) si vede pure via satellite. Il podio regale, di stelle, racconta anche il legno storto. Le tre campionesse fanno insieme 107 anni, approssimando la loro età per difetto: resterebbero, da sommare, altri 738 giorni delle signore. La matematica non è un’opinione, lo sci rosa tende alla gerontocrazia.
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Il format della Coppa, in un’annata che ci ha regalato sei (!) discese femminili, andrebbe ripensato. Così come il calendario, stipato all’inverosimile e demenziale per gli spostamenti: più America, più tempo per le gare (spalmate su più mesi).
Una riforma sui materiali, per limitare le velocità, inciderebbe pure sul progetto tecnico: gli sciatori evoluti – con la bussola sul SuperG – dominano il campo. Le tracciature, anche nel Gigante, tendono al semivelocismo (..). Più curvoni a manetta, più forza (bruta) centripeta, più ginocchia che saltano. In un mondo ideale, la soluzione sarebbe il professionismo stile ciclismo (su strada): al livello più alto, squadre con lo sponsor (partendo da quelli tecnici) e una mondializzazione effettiva. Che troverebbe più risorse economiche per gareggiare, da fine agosto, laddove ci siano le condizioni. Ma l’abiura alle nazionali e alle federazioni è impossibile: il giocattolo, anche se sempre più rotto, è loro. Meglio avvallare un sistema a due (tre) velocità. Team privati per i campioni e le campionesse, con budget e ricerca al top, il settore intermedio tra squadroni e squadrette nazionali (gente che si allena coi droni, altri che a fatica trovano i dindi per programmare una trasferta) e i bufali. Titanic o arca di Noé, il futuro è nebuloso.
22
A grande richiesta, la classifica scapigliata del Mondiale marche, Saalbach inclusa. Quest’anno abbiamo visto cose bizzarre, questioni di millimetri, con tanto di sabotaggi al fluoro: ci si rallegra a favore di telecamera per un’avversaria, poi nelle retrovie s’ingaggia lo spione. Scioline miracolose, attacchi rivoluzionari, un team (una nazionale) e due case hanno svettato. Fu vera gloria?
Primi Posti.
1° Head 24 / 2° Rossignol 20 / 3° Atomic 13 / 4° Stoeckli 11 / 5° Van Deer 6 / 6° Dynastar 4 / 7° Nordica 2 / 8° Salomon, Voelki, Fischer 1
Secondi Posti.
1° Head 31 / 2° Atomic 13 / 3° Rossignol 12 / 4° Stoeckli 10 / 5° Van Deer 5 / 6° Fischer 4 / 7° Salomon 3 / 8° Blizzard 2 / 9° Dynastar 1
Terzi Posti.
1° Rossignol 22 / 2° Head 20 / 3° Atomic 14 / 4° Stoeckli 7 / 5° Fischer 6 / 6° Salomon 4 / 7° Van Deer, Nordica 3 / 8° Kaestle 2 / 9° Voelki, Dynastar, Blizzard 1