Oggi niente Coppa del Mondo.
Almeno un dì senza l’ossessione del presente, della neve umida o che manca, della sciata centrale, del ginocchio della Brignone (Gut), della caviglia di Paris.
Aspettando una mossa dei federali, i padroni del circo (bianco), a proposito di questi sci, scarponi, materiali hi-tech, che stanno falcidiando il capitale umano: gli atleti, campionesse, campioni, maschere.

Rendiamo omaggio a chi, più di ogni altro, ha reso l’Austria la patria dello sci alpino e questo sport una disciplina moderna.
Toni Sailer è stato uno dei più grandi atleti del ventesimo secolo, nonché il Campionissimo che ha modificato (per sempre) il senso tecnico dei gesti: un po’ come Paavo Nurmi nell’atletica, Fausto Coppi nel ciclismo e Oscar Robertson nella pallacanestro.
Toni aveva il destino scritto nel luogo di nascita.
Crebbe ai piedi della Streif, la pista sacra di Kitzbuhel, figlio di un artigiano, e mostrò subito una predisposizione neuromuscolare di eccezionale qualità.
Che scendesse sotto gli 11 secondi sui 100 metri piani, ma calzando gli scarponcini da montagna, o che vincesse giovanissimo qualsiasi sfida sciistica.
Il Lampo Nero da Kitz fu – a causa dei regolamenti antidiluviani di quell’evo – una cometa abbagliante quanto Kohoutek.
Ebbe una carriera rapidissima, a sedici anni era un fenomeno di precocità, a venti un fuoriclasse.
Fu troppo avanti con i tempi, con la Coppa del Mondo (cominciata otto anni dopo il suo ritiro) avrebbe vinto quantitativamente l’impossibile.
Dovette invece accontentarsi del circuito di allora, quello europeo e nordamericano delle combinate e delle classiche.
Divenne il mattatore, il protagonista assoluto, delle Olimpiadi di Cortina (1956) quando realizzò un eloquente tre su tre.
Gigante, speciale e discesa, dominando le competizioni.

La libera fu rocambolesca per le condizioni ambientali di quella mattina sulla schiena della Tofana (meno 24 gradi!) e per un problema a un attacco dello sci (destro) prima della partenza.
Hans Senger, amico di Toni e allenatore della squadra italiana, gli passò la cinghietta del proprio sci.
3 chilometri e mezzo, quindici porte, partenza a 2282 metri d’altitudine, arrivo a 1380.
Sailer trionfò con 3 secondi di vantaggio e quel giorno smise di essere solo un campione: si trasformò in un’icona.
C’erano trentamila spettatori lungo la Pista Olimpia.
Schwarze Blitz aus Kitz, la tuta nera, l’aura d’imbattibilità, mise sulla cartina del mondo Cortina d’Ampezzo.
Fu l’attimo che impose un’idea pop (mondana) del turismo di massa in montagna.
Era il 3 febbraio 1956.
Sailer aveva stradominato il gigante, il 29 gennaio, dando 6 secondi alla medaglia d’argento (il compagno Andreas Molterer).
Il 31, il bis nello slalom, a dispetto di una sveglia mancata: corse la prima manche col pettorale 135, sulla Col Drusciè, finì il pomeriggio 4 secondi davanti al giapponese Chiharu Igaya.

Toni venne su alla scuola dei “diavoli rossi”, i maestri di Kitzbuhel, vedendo Molterer e Christian Pravda.
Nel 1950 il quindicenne Sailer, in un gigante a Kitz, batté proprio Pravda: l’annuncio di una nuova era.
A sedici anni, nell’inverno del 1952, il ragazzo prodigio vinse discesa e combinata a Megève, gigante e combinata a Morzine.
Un incidente in allenamento a Zurs – tibia e perone fratturati – lo tenne fermo quasi un anno.
Nel ’54, un segno del destino, la vittoria nello slalom di Cortina, alla Coppa Ilio Colli, il suo primissimo successo nell’Ampezzano.
La stagione successiva lo sci alpino assistette a un’accelerazione tecnica, psicofisica e agonistica, che proietterà lo sport nel futuro prossimo.
Per quattro anni, Toni Sailer monopolizzò la scena.
Negli slalom, fu la vernice stilistica della curva col peso sullo sci interno e la spalla (corrispondente) protesa in avanti.
Quattro trofei consecutivi del Lauberhorn, l’Hahnenkamm (casa sua) sbancando Streif, Ganslern e combinata il sabato e la domenica (1956).
Nel 1956/1957 una razzìa nelle gare nordamericane.
Aspen, Stowe, l’Harriman Cup a Sun Valley (negli States, la manifestazione più importante del circuito), Squaw Valley.
Slalom, gigante, libera, combinata, ogni corsa.

Ai mondiali di Bad Gastein ’58 tre ori e un argento e poi, appena ventiduenne, fece altro.
Annunciò ufficialmente il ritiro l’8 giugno 1959, alla radio bavarese, evitando la squalifica per professionismo (sigh) che era toccata al grande Zeno Colò.
Per proseguire mancavano gli stimoli e le svanziche, che arrivarono con i film e come uomo immagine di sé o di qualche azienda.
Nel 1999, Sailer fu scelto come sportivo austriaco del secolo.
Non essendo questo un pezzo apologetico, il divo Toni, in ciò che resta del giorno, tra una celebrazione e l’altra, fu pure coinvolto in una vicenda di abusi su atlete, con Charly Kahr come principale accusato.
Non avendo certezze sui fatti, i tribunali del popolo ci inorridiscono, non abbiamo un’opinione (amorale).
Rimangono le storie delle sue gesta, guascone sulle nevi e al cinema, ingigantite dal Tempo che scorre.
Una serata ad Aspen, la festa pre-gara nella villa dell’organizzatore.
Col tasso alcolico a mille, mostrarono al nostro la piscina inutilizzata a causa delle intemperie: Sailer, per scommessa, chiese un piccone e un accappatoio.
Spaccò la lastra di ghiaccio e si tuffò.
A meno 15, di fronte a una platea sbigottita, si fece qualche vasca a nuoto.
L’indomani vinse senza battere ciglio.
Mario Cotelli, cittì della Valanga Azzurra, raccontò delle ricognizioni di Toni che per quattro anni (dal 1972 al 1976) ricoprì il ruolo di direttore tecnico austriaco: ormai quarantenne, scendeva con uno stile e una potenza impressionanti.
Sailer è andato avanti, a 73 anni, il 24 agosto 2009: ahiloro, anche i semidei sono mortali.
“Da piccolo volevo essere Toni Sailer.
Guardavo le sue foto e cominciavo a tracciare i paletti davanti a casa.”
(Gustavo Thoeni)
