YU-NA WHAT I MEAN

In culture diverse, wrestling e calcio soddisfano gli stessi bisogni di tifo e di identificazione: mai hanno avuto bisogno di verità, adesso si sono liberati anche del fardello della veridicità.

Peccato che gli stessi schemi vengano applicati anche al racconto del resto dello sport.

“Nel mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso.”

(Guy Debord)

Teorizzato come minaccia o risorsa culturale nelle conversazioni da bar sport, utilizziamo anche noi il wrestling per leggere meglio il quotidiano.

Ultimo atollo ironico prima del finale viscontiano, decadente e angoscioso il giusto.

Per i bambini invecchiati della nostra generazione in principio fu il catch, ennesima testimonianza eccentrica nipponica, l’unico immaginario che seppe in quel periodo scavalcare la frontiera americana con una serie di creazioni come i manga e i cartoni animati.

Era, rispetto all’armamentario colorato degli yankee, un esercizio asciutto di stile (?) basato sul gesto e non sulla parola: la lotta giapponese fu un po’ teatro kabuki, soprattutto se comparata all’eccesso infantile stelle e strisce.

La WWF fu molto più Barnum e centrata sulla mistificazione: trattasi di avanguardia pura del marketing, un caso curioso nel quale la causa è già l’effetto.

Spettacolo ideale per i burattinai e i palinsesti televisivi, abolisce l’imprevisto della veridicità con una rappresentazione scenica manichea: il persiano Mani quando elaborò la sua dottrina religiosa ebbe un’illuminazione warholiana.

Era il terzo secolo dopo Cristo, ma i pubblicitari (i culti fondamentalisti e J.R.R. Tolkien) dovrebbero ringraziarlo ancora oggi.

Due princìpi assoluti, il Bene e il Male, in contrasto eterno e insanabile

Una manna per semplificare, e quindi rendere più popolare, ogni tipo di soap opera in vendita.

Ma l’arguzia del wrestling sta nell’alternanza dei livelli: il buono, dopo un sondaggio rivelatore, può trasformarsi in cattivo e/o viceversa; potenza del televoto implicito e virtuale. 

Anche esteticamente, essendo kitsch, può regalare sguardi inediti sull’ammucchiata machista: così redneck, sudista e fallocentrico, da essere ribaltato con una bella dose di malizia.

Due omoni muscolosi e sudaticci che rotolano avvinghiati su un ring, in tutina colorata, non possono altro che suggerire un bel complesso psicosessuale.

Ma non oltrepassiamo le barriere del politicamente conveniente e concentriamoci sui lottatori nell’arena: piacciono poichè esotici e provenienti da un’altra dimensione.

Fortificano nello spettatore quello stupore bambino, che si può salvare solo preservandolo dalla saggezza.

Infatti il wrestling in Europa, dal punto di vista sentimentale, è inutile perché occupa il settore irrazionale del calcio, esperanto che domina la comunicazione perché (s) centrato sulla funzione del rito.

Più è improbabile, costruito, recitato, maggiore è la sua capacità di annichilire la ragione di chi ne fruisce: la futbalina come sostanza psicotropa sembra assomigliare al crack.

Diventando il metro di paragone di ogni cosa (politica, socialità, arte) sconfina anche nello sport: allora, per commentare le Olimpiadi, vengono utilizzate le stesse armi mediatiche del foot.

Premiano la banalizzazione di qualsiasi disciplina, seguita come fosse un reality: l’atleta in quanto tale è superfluo per tivù e stampa, quindi ci si concentra sull’esoscheletro dello stesso.

Il tatuaggio, le foto provocanti, la famiglia al seguito.

La specialità nella quale eccelle diventa vana, una scocciatura che viene descritta genericamente, con un’insipienza tragicomica.

Poi c’è lo sciovinismo a gonfiare di steroidi i titoli: per l’ennesima volta si perde l’occasione di mostrare, a una platea che ne ignora l’esistenza, la bellezza totale dello sport.

L’ideale che sta dietro la fruizione di questi eventi è liberatorio.

Si perde la forza dell’ignoranza, si acquista quello della trascendenza: si pattina veloci e brutali con Sidney Crosby e Patrick Kane, si sfreccia sugli sci stretti, respirando come mantici, insieme a Petter Northug; calmi il cuore impazzito dalla fatica e ti concentri sui bersagli con gli occhi di Magdalena Neuner.

Si annullano le distanze, cancellando le identità nazionali: rimangono solo gli esseri umani.

Vedendo scendere Bode Miller nello slalom della Supercombinata non ci interessava che fosse italiano, americano o ghanese, ci bastava il talento di quell’acrobata.

Invece si mortificano quelle visioni con un nazionalismo da barricata, cercando di interessare un pubblico cloroformizzato a tutto ciò che non sia pettegolezzo e stupidità.

Analfabetizzati dall’esigenza di banalizzare, per piazzare meglio il prodotto, si nasconde l’essenza: del pattinaggio artistico femminile, per esempio, ci si dimentica lo splendore vertiginoso della competizione, arrivata a livelli tecnici impensabili.

Una disciplina finalmente femminista nei risultati, che sottolinea l’involuzione del settore maschile, alle prese con una crisi d’identità rappresentata dall’esibizione broadwaiana dell’olimpionico Evan Lysacek.

Con buona pace di un fenomeno come Mao Asada, a Vancouver si è colmato lo spazio impercettibile, inenarrabile, tra sport e arte: colpa o merito della venusiana Yu-na Kim, il personaggio che ha stravolto i canoni della specialità.

A scanso di equivoci, parliamo della personalità più importante della Corea del Sud contemporanea.

Un’icona pop che è diventata una gioiosa macchina da dollari, ma che è soprattutto un modello irraggiungibile di sportiva.

Perchè espone una perfezione nei gesti che non proviene dal pianeta terra: ha lo splendore lunare, distante, della Sun-Hwa di “Ferro 3” e sul ghiaccio non sembra pattinare, ma dipingere.

E’ spaventoso pensare a quanto lavoro si nasconda dietro a quella musicalità neuromuscolare, talmente abituati a esaltarsi per la mediocrità esibita altrove, si perdono le coordinate per decifrare l’incanto.

Se ha avuto un senso Vancouver 2010, al di là delle parate di Ryan Miller e dei voli di Simon Ammann, è quello di aver mostrato per qualche minuto il genio di un’artista: riempirsi gli occhi di lei, mentre danza Gershwin, cancella il cattivo gusto che ci impongono come dieta tutti i giorni.

Pubblicato da Indiscreto il 2 marzo 2010

Sport e Cultura
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