LA PARTITA ALEPH DEL CALCIO: PAURA E DELIRIO AL PARCO DEI PRINCIPI

Il 28 maggio 1975, la finale della Coppa dei Campioni era tra Leeds United e Bayern Monaco.

L’UEFA scelse Parigi, il modernissimo Parco dei Principi, inaugurato tre anni prima, per festeggiare il giubileo della coppa con le orecchie.

Laddove, nel secondo impianto, nel 1956, si giocò la prima finalissima tra il Real Madrid e lo Stade Reims.

Malgrado la cerimonia, in pompa magna, il saluto del sindaco Jacques Chirac, l’incontro divenne subito drammatico.

Nemmeno cinque minuti e un fallo da codice penale di Terry Yorath, una porcata da Captagon (non fu neanche ammonito…), sul terzino Bjorn Andersson.

Sostituzione immediata, con lo svedese portato via in barella.

Col senno di poi, dal punto di vista tattico, considerando il vuoto, il nulla in manovra dei rossi, giocare in dieci per i bianchi sarebbe stato meglio.

Il Leeds era (stra) favorito: era lì dopo una semifinale – tiratissima – che assomigliò a una finale anticipata, andata e ritorno, opposto al Barcellona di Johan Cruijff.

United e Bayern parevano squadre quasi a fine corsa, reduci entrambe da un campionato semi disastroso.

I bavaresi, la stagione precedente, avevano raggiunto il loro zenit doppiando la Bundesliga con il titolo europeo: assegnato con una ripetizione, a Bruxelles, dominata (4-0 contro l’Atletico Madrid) dopo la paura (e la fortuna) di due dì prima.

Pareggiarono, all’ultimo minuto del secondo tempo supplementare, con un tiraccio da fuori di Hans-Georg Schwarzenbeck.

Con la fuga a Madrid – a suon di pesetas – di Paul Breitner, il Bayern consisteva in tre fuoriclasse, Franz Beckenbauer, Gerd Muller, Sepp Maier, nella duttilità e l’intelligenza di Uli Hoeness e Conny Torstensson, e in una serie di operai specializzati.

Gli inglesi avevano ancora i protagonisti del ciclo d’oro, cominciato – dopo la promozione nel 1964 in Division One – undici anni prima: i ragazzi di Don Revie, che nell’estate ’74 era diventato il commissario tecnico della nazionale.

Paul Reaney (definito da George Best uno dei migliori difensori di quell’evo), il tuttofare Paul Madeley, The Eleven Pauls, la cazzimma del centrale Norman Hunter; Peter Lorimer (il riassunto del giocatore brit dell’epoca: velocità, forza e tiro), il capitano Billy Bremner, il capobranco scozzese, la piuma (e il ferro) del faro Johnny Giles.

In attacco, l’opportunismo (e le provocazioni) di Allan Clarke, The Sniffer.

A fianco, l’emergentissimo Joe Jordan sostituiva il centravanti storico del combo: Mick Jones, appena trentenne, con un ginocchio a pezzi era già – malinconicamente – un ex calciatore.

Il Leeds era forte, fortissimo, sporco e cattivo.

Giocavano duro, con l’arroganza e l’onestà di chi rispetta (va) le regole non scritte di quel gioco.

Per sostituire Revie, sulla tolda di comando, a Elland Road scelsero (il grande) Brian Clough, l’uomo giusto nel posto sbagliato.

La Charity Shield 1974 parve un passaggio di consegne, non molto pacifico, tra le formazioni capintesta della First Division, lo United e il Liverpool.

Finì con un’altra sconfitta beffarda per i bianchi, ai rigori, ma il clou fu un cazzotto in faccia di Giles a Kevin Keegan.

Clough durò quarantaquattro giorni: a una ciurma di veterani, in autogestione con la commissione interna, l’allenatore guru non serviva affatto.

Meglio Jimmy Armfield su quella panchina.

Verso il ventitreesimo minuto, la continua pressione offensiva degli inglesi, una pentola di fagioli (..), permise una zingarata di Lorimer in area del Bayern, interrotta dal braccio (sinistro) del Kaiser Beckenbauer.

Michel Kitabdjian, l’arbitro francese del match, non fischiò il fallo.

Si giocava in una metà campo sola e le (rare) puntate dei rossi, anche i calci d’angolo, parevano servire più che altro a far respirare il reparto difensivo di Beckenbauer e soci.

Palla o caviglia, quella sera, senza complimenti: Leeds, aggressivo e manovriero, e Bayern.

Citando Johnny Giles: “Sul campo, meglio fare il leone che l’agnello.”

Minuto 32, traversone alla First Division, a far confusione, e Jordan centrò lo specchio della porta – di destro – dagli otto metri: Sepp Maier, con istinti felini, parò al volo.

Al trentaquattresimo, sulla sinistra, profondissimo in area, Clarke affrontò Beckenbauer che, dribblato, lo stese.

Kitabdjian assegnò il corner al Leeds: sconcerto tra i bianchi.

La ripresa accentuò le dinamiche del primo tempo: il Bayern aveva piazzato il bus davanti alla propria porta, molto prima che il termine diventasse di moda.

Due entrate da dietro, violente, una di Bremner su Sepp Weiss, l’altra di Bernd Duernberger su Clarke, inaugurarono la seconda metà delle ostilità.

In alcuni momenti, forse per disperazione tattica (sic), Gerd Muller arretrava fino alla linea difensiva dei suoi.

L’unico duello a centrocampo vinto dai tedeschi era quello tra Franz Roth e un Bremner ancora più iroso del solito.

Quando, al settimo, Roth concludeva altissimo una triangolazione, c’era già – in nuce – il futuro anteriore della storia.

Schwarzenbeck non teneva lo straripante Jordan: si aiutò, per novanta minuti, coi trucchi del mestiere.

Calci, botte, spinte, strattonate, la valigia completa.

Lo Squalo crebbe alla scuola di quel Leeds, dove si regolavano i conti anche in allenamento (menandosi).

Quando venne da noi, in un Milan decadente e nel Verona ante miracolo, lo conobbe Beppe Bergomi.

Che in una partita fece un paio di falli, da Serie A farabutta dei tempi: Jordan bifonchiò qualcosa.

Alla prima occasione utile, una punizione a due, mentre tutti guardavano la palla, il mento dello Zio scese sul gomito appuntito dello scozzese.

Bergomi, per due settimane, dovette nutrirsi con la cannuccia.

Ventesimo, punizione di Lorimer, sponda aerea di Madeley e il destro di Bremner – davanti alla porta – venne neutralizzato da uno straordinario Maier.

L’incipit alla scena madre, mezzo minuto più tardi: fallo di Rainer Zobel su Clarke, l’ennesimo.

Palombella di Giles, Madeley di testa nell’area piccola, respinta rossa (corta) e Lorimer, al volo di destro, la infilava nel sette.

Uno a zero, Coppa al Leeds.

Mentre i bianchi si abbracciavano, Beckenbauer richiamò il guardalinee (e l’arbitro): conciliabolo e, tra le proteste dello United, Kitabdjian annullò il gol.

L’incontro era ormai senza controllo: alcuni tifosi inglesi scesero in mezzo ai giocatori…

La gara, una rissa, vedeva uno United sempre più furente e propositivo.

Un colpo di testa di Jordan, poi un tiro di Lorimer parato (..) dal corpo di Beckenbauer, tutte occasioni scaturite dai piedi (pensanti) di Giles.

Al ventiseiesimo minuto, una prece nell’assedio inglese al fortino tedesco: Muller impostava da falso nove, Torstensson rifiniva all’accorrente Beck che – con un rasoterra di sinistro – batteva David Stewart.

I fantasmi di Milan-Leeds, la finale di Coppa delle Coppe 1973, un deja vu, erano riapparsi al Parc des Princes.

Jimmy Armfield, mosso dalla disperazione, sostituì Yorath con la bandiera Eddie Gray, l’ala degli anni d’oro di quel ciclo che, nel buio parigino, in quel momento si vedevano nello specchietto retrovisore.

Chissà, se il manager avesse rispettato meno le gerarchie e messo, nell’undici di partenza, Terry Cherry e quel genialoide di Duncan Mckenzie…

Dietro la porta di Maier, il caos: piovevano oggetti in campo, un supporter venne portato via come un sacco della spazzatura.

Nel frattempo, all’ottantunesimo sgroppata di Jupp Kapellmann sulla destra, cross e tocco in anticipo (togliendo il tempo a Madeley) del gattone Muller.

Due a zero, titoli di coda.

Quell’anno, a puntate su The Times, comparve un’inchiesta di Brian Glanville (e Keith Botsford): “The Years of the Golden Fix”.

Narrava, da una prospettiva molto britannica, i miasmi dell’UEFA.

Italo Allodi, il faccendiere ungherese Deszo Solti e gli arbitri ammansiti (..) nell’evo della grande Inter; le combine degli spagnoli – i metodi del Real Madrid – e dei tedeschi.

Un’organizzazione ricattabile e politicamente corrotta, che permise spettacoli truccati come quella finale di Coppa delle Coppe a Salonicco.

Che si concluse coi fischi del pubblico locale ai vincitori e il Leeds che disertò la cerimonia.

Una pantomima o una tragedia greca.

La confusione era ai massimi livelli.

Punizione di Lorimer (il migliore dei suoi), dai trentacinque metri, forte: Maier sventò.

Minuto 39, Hunter tentò di frantumare la caviglia destra di Kapellmann e fu ammonito.

Intanto, la Gendarmeria si mise in assetto per schermare le iniziative della curva, inferocita.

Erano già là, in quelle immagini, i prodromi della tragedia dell’Heysel, dieci anni dopo.

Ancora Jordan, in elevazione, a pochi centimetri dall’1-2.

Le celebrazioni, oltre il capannello dei bavaresi, furono improbabili.

Il Gran visir Artemio Franchi e Jacques Chirac guardavano, attoniti, a ciò che accadeva nella curva degli inglesi.

Che urlavano, in coro: “We are the champions, champions of Europe.”

Nel parapiglia, i pezzi dei seggiolini sfasciati dai tifosi divennero proiettili: un cameraman perse un occhio, un fotografo si ruppe un braccio.

La violenze proseguirono nella notte, fuori dallo stadio.

L’UEFA avrebbe escluso il Leeds per quattro anni dalle sue competizioni: divennero due dopo il ricorso.

Il Bayern realizzò invece il tris dodici mesi più tardi, all’Hampden Park di Glasgow (dai pali quadrati…) contro un Saint Etienne sfortunatissimo, esemplificando ancora la magnanimità di lombi di quel gruppo.

Il Leeds, quella sera chiuse la sua epopea, ridipinta nell’immaginario – col passare degli anni – da “maledetto United”: un cumulo di immondizia, per dirla con Johnny Giles.

La vera maledizione sta, al di là dei secondi posti, delle finali perse, nella sua assenza da quell’albo d’oro (della Coppa dei Campioni).

Dietro all’Ajax rivoluzionario e dominante, nella prima metà del decennio, c’erano i ragazzi di Revie e il Borussia Moenchengladbach.

Che visse vicende parallele, iellate, in Europa: dalla tresca della lattina, con l’Inter nel ’72, ai trilli di Leonardus van der Kroft, in un tragicomico quarto di finale al Santiago Bernabeu contro il Real.

Christos Michas, la giacchetta nera di Milan-Leeds, fu squalificato a vita al termine di un’indagine interna dell’UEFA.

Michel Kitabdjian continuò ad arbitrare fino al 1980: è morto il 17 marzo scorso.

Uli Hoeness, falciato da Frank Gray nel primo tempo, non recuperò più la piena efficienza del ginocchio e si ritirò a ventisette anni.

Il 17 aprile “Bites yer legs” Hunter è deceduto, settantaseienne, per una polmonite da Covid-19.

Leeds-Bayern è l’aleph, osceno e bellissimo, di un gioco: il riassunto di un’illusione che dura per sempre.

Il calcio a mò di simulacro, come fenomeno popolare, forse sta (va) tutto in questo incontro.

Il resto era ed è mancia nelle tasche.