LO SPORT AI TEMPI DEL PIANETA INFETTO

La Pianura Padana è il luogo del continente europeo con il microclima e l’inquinamento peggiori.

Sono decenni che le polveri sottili, lo stupro del territorio per attività industriali e le malattie (quanti di noi hanno compilato la segnalazione che attesta il tipo di lavoro di un parente con una neoplasia?) stanno confezionando il disastro di oggi: prima ambientale, poi sanitario, infine economico.

Nella stagione di un (non) inverno, senza pioggia e tiepidissimo, si sono verificate le condizioni per questo evento.

Media e opinione pubblica (sempre che ne esista una) stanno già rifiutando questa realtà. In attesa che si torni alla normalità, cioè a vivere e morire di altro, continueremo a reiterare uno stile folle di consumo e a inculcarlo ai figli e ai nipoti.

In tempi di psicosi di massa, laddove persino un podista o un ciclista diventano untori (sic), lo sport professionistico si è arreso all’evidenza. 

Senza senso gareggiare, nel deserto, come a Nové Mesto (la tappa IBU solitamente con più folla, almeno trentamila spettatori…) o nelle prime frazioni della Parigi-Nizza, e col carico emotivo delle notizie dei morti (e dei feriti).

Il pubblico è una componente essenziale dello spettacolo, al pari del cuor leggero e dell’allegria: giusto chiudere tutto, la festa mesta non ha ragione di essere.

Un caso (clinico?) a sé il calcio, notoriamente al di sopra delle parti e della legge per acclamazione popolare.

La partita a porte chiuse, che ne debilita la funzione nell’ottica del rito collettivo, lo avvicina invece a ciò che è ormai nella (nuova) carne: playstation da vedere attraverso uno schermo piatto.

L’UEFA, impegnatissima a spostare denaro da una parte all’altra, si è confermata la classe digerente più famelica e incomprensibile.

Meglio i calciatori del codazzo che hanno attorno, dei dirigenti e dei tifosi. Col senno di poi, ma intuibile in diretta con quello che stava accadendo a Bergamo, l’ottavo di ritorno tra Valencia e Atalanta è stato un coronavirus party in mondovisione.

Nel silenzio tombale del Mestalla, interrotto da una sonorizzazione (curiosa, stereofonica) di urla e rumori (dell’impatto della palla).

Atleti, con organismi sani, dunque schermati dalle complicazioni più gravi del Covid-19, mandati allo sbaraglio per i dindi della televisione e il rispetto dei calendari.

La solita NBA, anche nell’emergenza, mentre il commander-in-chief idolo di Patrick Bateman minimizzava, ha mostrato un macchinario efficiente.

Il rispetto del proprio patrimonio: giocatori, personale, pubblico, media. Un po’ meno l’Eurolega, con la zavorra turca e russa sulle spalle, che è stata obbligata dal Real Madrid ad annunciare la chiusura.

Nel ciclismo, l’UCI a trazione francese si è adeguata ai voleri dell’ASO che fa e disfa: la Parigi-Nizza finita prima dell’arrivo in Costa Azzurra, tecnicamente di altissimo livello (una beffa…), racconta che il Tour comanda.

Lo sapevamo. Ha qualcosa di un romanzo distopico pensare che l’ultima Milano-Sanremo non disputata, durante la seconda guerra mondiale, fu nel 1945.

O riflettere che nemmeno quel conflitto bellico interruppe la Ronde: la storia, quella vera e tragica, ci dice che gli organizzatori del Giro delle Fiandre di allora, nel bel mezzo dell’occupazione tedesca del Belgio, erano collaborazionisti.

Cercasi data utile per il Giro, col problema dell’incipit ungherese mozzato, con RCS Sport che potrebbe sperimentare: il prossimo 21 giugno, la mattina presto, dalle nostre parti, avremo una meravigliosa eclissi solare.

Oppure tornerebbe utile la proposta, di qualche decennio fa (Gianpaolo Ormezzano uno degli sponsor più felici dell’idea), di correrlo ad agosto: con gli italiani in vacanza (come i francesi, a luglio, per la Grande Boucle), i passi percorribili e le Olimpiadi in forse.

Non vorremmo portare iella, ma la prima assegnazione a Tokyo dei cinque cerchi fu nel 1940: che poi, in pieno massacro, ci furono ma per i prigionieri internazionali di guerra.

In uno stalag, vicino a Norimberga. Nel tennis, mentre Boris Johnson impazza e si mette a rischio persino Wimbledon, il Roland Garros è slittato al 20 settembre, per adesso. Bernard Giudicelli, presidentissimo della federazione francese e vice ITF, è riuscito nell’impresa di far arrabbiare tutti: ATP, WTA, la Laver Cup (di Roger Federer…), Indian Wells (Larry Ellison) e Miami (l’IMG…).

C’è olezzo di 1973 e di boicottaggio del sindacato giocatori. La fantapolitica ci suggerisce il terzo Slam stagionale, non tra Londra e New York, ma con il Mille di Shanghai tre su cinque: sarebbe un colpo di marketing clamoroso.

Il circo bianco chiude i battenti, alla chetichella, in una stagione che definiremmo catastrofica. Fingere che la Coppa di Federica Brignone, la migliore sciatrice tricolore dall’evo di Deborah Compagnoni, non abbia l’asterisco è un esercizio cialtrone che non ci sentiamo di sottoscrivere.

La tragedia famigliare di Mikaela Shiffrin, le undici gare cancellate (su trenta disputate) e una FIS dilettantistica hanno falsato il risultato. Abbiamo capito, ma era intuibile, che Brignone – quest’anno al suo meglio, tecnico e agonistico – e Marta Bassino stanno diventando sempre più versatili; che Petra Vhlova – un quattro per quattro – si è avvicinata alla Shiffrin nello slalom, ma si è allontanata da lei per continuità.

E che due campionesse, vittime di tanti infortuni, paiono essere all’ammazzacaffé della loro carriera: Anna Veith e Tina Weirather.

Tra gli uomini, i norvegesi confermano di essere pochi ma buonissimi (segnatevi il nome di Lucas Braathen…): Aleksander Aamodt Kilde, al pari di Brignone, non ruba nulla, è solo l’utilizzatore finale (casuale) della situazione.

Il secondo posto di Alexis Pinturault, malgrado sei vittorie di tappa contro una sola (!) di Kilde, estremizza l’ennesima occasione buttata via dal reuccio dell’Alta Savoia.

Il resto è una gestione caotica, addirittura imbarazzante, della Coppa: in un’annata dove i cambiamenti climatici sono parsi più evidenti che mai, con la neve sapone – in Europa – da dicembre, i nuovi (?) format hanno aggiunto confusione.

Regalare cento punti a chi si impone nel parallelo, magari programmandolo di domenica (con più pubblico televisivo che assiste alla pagliacciata…), è demenziale.

La combinata, con le partenze dello speciale che rispettano l’ordine di arrivo della prova veloce, con una pista non ghiacciata – che si spacca al secondo passaggio! – è un nonsense.

E prefissare a marzo gare in località sotto i mille metri di altitudine, come Ofterschwang, roba da talpe. Speriamo che, per la classica apertura ottobrina sul Rettenbach, qualcuno modifichi questa pianificazione scema.

A dispetto degli spalti vuoti, epilogo super del biathlon in quel di Kontiolahti. Lo psicodramma di Tiril Eckhoff, con la coppa di cristallo in tasca all’ultimo poligono dell’ultimo inseguimento, esalta (ahi lei) la sceneggiatura diabolica di questa disciplina.

La norvegese, ribaltata la classifica e l’inerzia dopo i mondiali italiani, aveva un minuto di vantaggio su Dorothea Wierer e due errori di margine.

Uno in più, con la carabina che pesava un quintale, l’ha condannata esaltando l’altoatesina. Wierer, di testa, da fuoriclasse tosta, affastella la seconda generale consecutiva: per far capire l’impresa, l’ultima a farlo fu la leggendaria Magdalena Forsberg (che ne vinse sei di seguito). E’ l’apogeo di un’atleta, Doro, che ha realizzato a pieno il suo potenziale giovanile: qualsiasi cosa accada, dall’estate 2020 in là, Wierer ha compiuto la sua missione.

Altrettanto emozionante il finale dei fusti: due punti, un’inezia, decretano il passaggio di testimone – a mo’ di Mister Biathlon – tra Martin Fourcade e Johannes Thingnes Boe.

Due fenomeni. L’ultima vittoria di Fourcade, dopo l’annuncio del ritiro, suggella la figura del biathleta simbolo degli anni Dieci.

Il campionissimo che si è fatto carico dell’immaginario di questo sport, esauritasi la spinta propulsiva dell’era (quasi infinita) di Ole Einar Bjoerndalen e della cometa Lena Neuner.

Un personaggio che andava oltre le cifre (incredibili: sette Coppe, tredici ori mondiali e cinque olimpici): fotogenico, intelligente, curioso.

Al contrario di altri fuoriclasse, forse più celebrati ma afflitti da campionismo degenerato, lo rimpiangeremo.